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388 IL BUON CUORE


dello scibile umano, specialmente alle lettere, alle lingue, alla pittura ed allo sport nelle più belle ed utili estrinsecazioni.

Modesto e prudente, le sue doti rifulsero particolarmente nel santuario della famiglia e nella cerchia degli amici, tra i quali contava cuori devoti che in lui si affidavano nei momenti più culminanti della vita.

Ricordiamo il giorno nel quale egli partecipava appunto agli amici la sua deliberazione di volersi dare ad una vita attiva, dedicandosi poi con nobili obbiettivi al delicato ufficio notarile. Da allora in poi, egli era infatti divenuto il consigliere fidato, il perno di cospicue famiglie, il benefattore di non poche opere pie.

Tutte le sue doti e le sue preziose cognizioni egli dedicò pure al Comune e alla Congregazione di Carità di Desio, manifestando un affetto speciale a Parravicino, il luogo preferito per la sua residenza estiva, il luogo amato per tradizioni famigliari, il luogo prescelto
per il riposo della sua salma, accanto ai resti mortali de’ suoi cari.

Affabile, gentile, buono con tutti, egli ebbe da tutti, a Desio, come a Parravicino, imponenti e commoventi manifestazioni di cordoglio.

Sul suo feretro si pronunciarono parecchi discorsi eloquenti, che misero in bella luce le virtù del gentiluomo di principî profondamente cristiani, del notajo integro, del distinto patriota e cittadino, del marito esemplare.

Deponiahio il fiore della nostra amicizia sulla tomba del nobile uomo intemerato, e innalziamo una prece per la sua bell’anima gentile, invocando da Dio la rassegnazione nei cuori desolati dei superstiti.

A. M. Cornelio





Lettere del colonnello Fara

In questi giorni, il nome del colonnello Fara è sulle labbra e nel cuore di tutti gl’italiani, e la sua simpatica figura viene riprodotta da molti giornali illustrati, che glorificano il valoroso combattente di Agordat e, più ancora, l’eroe condottiero dell’11° reggimento bersaglieri alla terribile battaglia nell’infernale traditrice oasi di Tripoli.

Il colonnello Fara, ormai maggior generale per merito di guerra, è nato nel 1859 ad Orta Novarese. Egli conta numerose amicizie in Milano, essendosi ammogliato con una distinta milanese, la signora Giulia Mazzoni, sorella di un egregio professionista, il rag. Carlo Mazzoni, che è pure benemerito tesoriere della Pensione Benefica per Giovani Lavoratrici. Fulmine di guerra, il Fara è pure una mente superiore e un nobile cuore, e conta tra i suoi amici uno dei più dotti sacerdoti dell’Archidiocesi milanese, l’ottantenne mons. cav. Antonio Ceruti, dottore da cinquant’anni dell’Ambrosiana.

Pochi giorni prima della dichiarazione di guerra alla Turchia, il valoroso colonnello contava recarsi in licenza nell’Alta Italia e combinava un ritrovo appunto con mons. Ceruti; ma ad un tratto egli veniva richiamato d’urgenza, e allora così scriveva al venerato amico:

«Illustre Monsignore,
«Giunto da Napoli a Roma, mentre sistemavo il bagaglio sul treno che doveva condurmi a Milano, un telegramma mi ha imposto di raggiungere subito il mio reggimento, destinato a far parte del corpo di spedizione. Sono tornato la sera stessa a Napoli, e dopo un giorno di lavoro febbrile, tutto è pronto per salpare verso Tripoli. A quando la partenza? I superiori diranno il giorno e l’ora, ed io imbarcherò il mio bel reggimento che è, come il suo comandante, fiero di far parte di questa rinnovata crociata per riprendere alla Mezzaluna l’antica sua conquista sulla Croce. Le armi sono pronte ed impugnate da mani salde e dirette da
cuori forti e generosi. Il Dio della guerra sarà con noi, perchè con noi è il Diritto e la Forza...».

Giunto sulla sponda di Tripoli, il Fara così scriveva a mons. Ceruti:

«....Un’onda di puro entusiasmo ci travolse, e ci trovammo a bordo con un bel reggimento.

«Ora siamo agli avamposti, cioè al posto d’onore, posto ambito e che occupiamo fin dal primo momento in cui abbiamo posto piede, primi tra i primi soldati dell’esercito, sulla nuova terra italiana...».

Mons. Ceruti, dopo la terribile battaglia del 23 ottobre, esprimeva i suoi sentimenti al Fara con un’epigrafe patriottica, inneggiante al Duce impavido e ai valorosi bersaglieri dell’11º reggimento premiato da S. M. il Re con medaglia d’oro.

Colla calma del vero eroe, il colonnello Fara così rispondeva a Mons. Ceruti:

«I veri, buoni e cari amici non si dimenticano anche nei tumulti di Marte, fra il tuono delle artiglierie ed il crepitìo assordante della fucileria. Si rammentano quando la calma, rara avis, ci circonda, e quando imperversa la bufera di piombo, ciò che avviene tutti i giorni e qualche volta anche di notte. Intanto abbiamo da combattere contro un altro nemico molto importuno e molesto, la pioggia tropicale. Da due o tre notti le cateratte del cielo si spalancano e si rinnovano le scene del diluvio universale. Non avendo però noi l’arca di Noè, spesso nelle trincee agli avamposti si guazza in un pantano, o si naviga in un lago improvvisato. Non cessa però un solo istante la vigile osservazione, perchè il nemico si fa forte dell’alleato atmosferico e cerca sempre molestarci. È vita movimentata, faticosa, ma bella....

«Ieri ebbi la bella nuova che S. M. il Re conferì al reggimento la medaglia d’oro al valore militare, ambita e sacra ricompensa per le epiche lotte sostenute nei giorni 23 e 26 ottobre.

«Viva il Re!».