Pagina:Il buon cuore - Anno XI, n. 10 - 9 marzo 1912.pdf/5

Da Wikisource.

IL BUON CUORE 77


comm. Giuseppe De Capitani d’Arzago; discorso, che fu pronunciato con tale sentimento, da produrre in tutti gli invitati una vivissima e molto visibile commozione.

L’illustre personaggio, che da più anni occupa la carica di Presidente di codesto filantropico ed importantissimo Istituto, ha saputo merce il suo grande ingegno ed il suo nobile cuore, far accrescere vieppiù la lama della ben nota e pia istituzione.


Altezza Reale, Signore, Signori,

A nome del Consiglio, interprete sicuro del sentimento di questi nostri orfani, porgo a S. A. R. il Conte di Torino il saluto riconoscente e devoto, l’omaggio sincero, ed il ringraziamento per l’auspicata Sua presenza a questa solennità: il Principe di Savoia è qui fra il suo popolo, fra la parte più sventurata a cara del suo Popolo — fra mezzo gli orfani è davvero dunque nella sua Gran Casa!

Ricorderanno i Martinitt questo giorno fra i più fulgidi della lor giovinezza.

Grazie pure alle Autorità qui presenti, a tutti quanti presenziano alla distribuzione dei premi.

È questo un momento assai importante per la vita dell’Istituto, perchè pone in evidenza, ed anche segna ad esempio, chi si distinse: per i premiati è il coronamento di generosi sforzi fatti; pei loro colleghi è la tangibile prova di quanto si può ottenere con la forza di volontà.

Così la distribuzione dei premi diventa un ottimo coefficiente di educazione morale e tende a facilitare l’arduo compito nostro, e della Direzione dell’Orfanotrofio: la formazione del carattere. Ecco la meta sognata da noi! formare il carattere al giovane che esce da queste ospitali mura, fargli d’attorno la corazza adamantina e fulgente che lo guiderà nella vita.

Il carattere è, dopo Dio, la più eletta aspirazione umana: è tutto per l’Individuo e per la Patria, e il più imperioso dei nostri doveri è quello di dotare questi figli di popolo di una salda educazione che gli faccia poi non solo uomini onesti, lavoratori coscienti nel letterale e morale senso della parola, ma centri luminosi di onestà, divulgatori di principii, di convinzioni saldamente e lealmente professate, entro le immutabili basi del bello e del buono; in una parola: giovani, giovani sempre ed ad onta dello incalzar degli anni nella comprensione del sentimento: sprezzatori convinti dello scetticismo e dell’egoismo gretto!

A questa meta tende il Consiglio.

Ai miglioramenti materiali ognora portati nell’Orfanotrofio, alle innovazioni risguardanti alla educazione fisica dei Martinitt, alle provvidenze intese a renderli, non già discreti apprendisti o garzoni all’uscita dell’Istituto, ma esperti operai, noi vogliamo aggiungere qualche cosa di più; vogliamo qui approfondire lo studio della psiche dei giovinetti; curarlo con affettuosità e fermezza ad un tempo: tutto questo abbiam fede d’ottenere sotto la geniale e appassionata direzione del prof. Marcantonio Brian che qui giungendo riassunse, con sintesi felice, il futuro suo atteggiamento col detto: soaviter et fortiter: tutto questo realizzeremo dico,
se, come non dubitiamo, con entusiasmo i suoi dipendenti lo aiuteranno nell’aspro compito.

Il cinquantenario glorioso della Patria risorta, ha provvidenzialmente risvegliato nel Paese una forza in se stesso latente ma non mai indebolita.

La meritata e più alta soddisfazione ebbe invero l’Augusto ed amato nostro Sovrano nel trovarsi così all’unissono col suo Popolo nell’ora del cimento, attorniato da un esercito, da una marina gloriosi e fortissimi, che destarono nel mondo ammirazione.

Ma più in là, assai più in là, giunge la ripercussione della data memoranda, e in ogni centro, in ogni parte d’Italia nostra si riaccende la fiamma del bene, si intensifica l’idea vivificatrice del miglioramento sociale e morale, e ogni organismo, ogni ente si ripiega quasi su di se stesso, si esamina, e cerca la via d’ascesa per raggiungere il suo ideale.

Qui, noi l’abbiamo l’ideale da perseguire: un ideale bello e santo, quello di riparare alla sventura che colpì i piccini.

L’Orfanotrofio deve ripetere con cosciente sicurezza le soavi parole: sinite parvulos venire ad me, venite a me ch’io vi darò l’aiuto, il consiglio del padre, la carezza, il bacio della mamma che forse non v’ha sfiorata la guancia! questa è la sua missione.

Così, studiando il presente, e scrutando l’avvenire dei nostri Martinitt, sentiamo la responsabilità che ci grava.

Già da più d’un anno un’apposita Commissione, nominata nel seno del nostro Consiglio, studia quali siano le riforme da potersi introdurre nell’Orfanotrofio maschile onde renderlo sempre più consono alle moderne esigenze.

Tal delicato lavoro noi compiamo avendo sempre avanti la mente la necessità di conservare la bella fisonomia data all’Istituto dalle antiche e gloriose sue tavole di fondazione, monumento di sapienza e preveggenza insieme, ma pur pensando che un organismo, se vuol conservarsi solido e vitale, non deve fossilizzarsi, ma plasmarsi invece secondo le poliedriche esigenze dei tempi.

Seguendo questi concetti, esaminando quanto lungi da qui, in Italia ed all’Estero, si va facendo in tema d’educazione artiera e professionale, già abbiam fissati i cardini per una riforma che s’ispira fra gli altri numerosi e varii concetti, al desiderio di rendere meno crudo e impreparato il passaggio del Martinitt dall’Orfanotrofio alla Società, addolcendo con nuovi organismi questo pericoloso periodo nel quale il giovane, d’un tratto si sente libero dalla disciplina dell’istituto, e affatto disarmato per sostenere la lotta, e troppo spesso le insidie della vita per l’inesperto lavoratore: libertà s’acquista e non si dona.

La riforma sarà ben ponderata, si farà per gradi, a titolo di esperimento e di premio per i migliori allievi, avvallendoci, caso per caso, dell’aiuto della famiglia ove se ne presenti la opportunità, e non verrà adottata se prima non se ne sarà scrupolosamente esaminata ogni diretta e indiretta conseguenza.

Già, frattanto, coll’illuminato concorso della Autorità