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IL BUON CUORE 133

Né meno caratteristiche erano le leggende riguardanti le virtù delle pietre presiose.

Si credeva, infatti, che il rubino, posto sotto la lingua, togliesse la sete, e che incastonato in un anello scampasse dall'annegamento e impedisse i cattivi sogni; che il topazio avesse virtù di schiarire la vista, l'ametista di arrestare l'emorragia del naso se applicata sulla fronte del sofferente, la turchina di preservare chi se ne adornava da morte violenta. Alla corniola si attribuiva un poco dell'efficacia dei bromuri, quella cioè di calmare i nervi eccitati — oh impareggiabile corniola! Ed ancora: i lapislazzuli era ritenuto miracoloso per far crescere le sopracciglia, e il modesto corallo offriva un potente rimedio contro la gotta.

Quanto all'agata, se polverizzata in un mortaio e impastata con muschio, semi di cavolo e fegato di avvoltoio, e poi applicata a mo' di unguento sul occhi, avrebbe avuto, nientemeno, il magico potere di rendere la vista di un miope più acuta di quella dell'aquila.

C'è inoltre una pietra, poco nota, ma graziosissima, che merita tutta la nostra attenzione: l'occhio di gatto. Basti dire che portando in dosso questa piccola ed originale pietra — è sempre la leggenda che dice — non si è mai a corto di denari, e si tengono lontane tutte le afflizioni e tutte le disgrazie. Chi non vorrà procurarsi subito un così prezioso amuleto?

Ahmed Teifascite, il quale fu il più autorevole tra i dotti arabi che scrissero intorno alle gemme, e la sui opera famosa «Fior di pensieri sulle pietra preziose» ebbe l'onore di esser tradotta in lingua italiana da un grande poliglotta nostro ingiustamente dimenticato, il conte Antonio Raineri Biscia, vissuto alla fine del secolo XVIII e al principio del XIX, insegna un curioso metodo per riconoscere lo smeraldo buono da quello falso.

Narra Ahmed che lo smeraldo vero ha la proprietà di far scoppiare gli occhi alle vipere, cosa di cui egli stesso fece esperimento. Procuratesi alcune vipere il Teifascite le fece mettere in una conca, e presentò loro una freccia di legno in punta alla quale aveva fissato con un poco di cera uno smeraldo di primo colore, o zababi. «Dapprima esse se l'avventarono contro — racconta egli — e fecero un movimento ed uno sforzo onde tentar d'uscire dall'indicata conca; ma quando ebbi ben accostato il surriferito smeraldo ai loro occhi udii un leggero scoppio, e quindi osservai che i medesimi discioglievansi in umori, e sporgevano potentemente all'infuori, Dopo un tal fatto rimasero le suddette vipere così sbalordite e confuse, che girando qua e là nella conca non sapevano ove s'andare, né cercavano più di fuggire.»

Ugualmente ricca d'interesse e di... colore, è la descrizione che lo stesso Ahmed Teifascite fa del modo con cui i mercanti riescono ad impossessarsi del giacinto — nome generale sotto il quale gli arabi comprendeva il rubino, il zaffiro e parecchie altre qualità di pietre.

Afferma il nostro autore che le varie specie di giacinto nell'Isola di Serandib (Ceylan) sul monte Rahun, quello che i portoghesi battezzarono «Pico
d'Adam» in omaggio alle generali tradizioni degli orientali che indicano quella montagna come il luogo ove è sepolto il primo uomo.

Durante i periodi della pioggie, il giacinto vien trascinato dai torrenti, e si può raccogliere con una certa facilità, ma in tempo di siccità occorre procedere in altro modo.

Siccome il monte, inaccessibile all'uomo, è abitato da innumerevoli aquile affamate, i mercanti ucciso un grosso capo di bestiame lo fanno in pezzi, che depongono poi alla base della montagna. Subito le aquile si slanciano, s'impossessano della preda, e tornano verso i loro nidi sulla vetta. Ma, come durante il tragitto sono costrette a toccare terra, parecchie pietre preziose onde la montagna è ricoperta come d'un manto abbagliante, si attaccano alla carne.

E lasciamo senz'altro la parola di Ahmed, servendoci ancora della efficacissima traduzione del Biscia: «In seguito ripigliando le aquile stesse il volo coi rispettivi pezzi di carne, e venendo tra loro a contesa per rapporto ai medesimi, si dà la combinazione che nella mischia ne cadono alcuni fuori del mpredetto monte; lo che veduto dalle persone ivi a bella posta concorse vanno subito a raccogliere da tali pezzi tutta quella copia di giacinto che vi è rimasta attaccata. La parte inferiore dell'indicato monte è ingombrata da folti boschi, da larghi e profondi fossi e burroni, non che da alberi di largo fusto, ove trovansi vari serpenti che inghiottiscono un uomo intero. Per tal cagione niuno può salire su quel mondo e vedere le meraviglie che in esso contengonsi».

È grazioso tutto ciò, non è vero?

Evidentemente quando si trattava di sballarle grosse gli arabi non stavano a pensarsi su.

E questo dimostra che, anche allora, essi dovevano coltivare l'amicizia dei turchi.

Enrico Boni.

Enryk Sienkiewicz

e la nuova Polonia

Quando fui introdotto nella sala d'ingresso di Casa Sienkiewicz, modesta e chiara, non potei difendermi, nell'attesa, di quel senso leggero di pena che prende noi piccoli ed umili mortali dinnanzi a coloro che si sono già assicurati l'immortalità.

Pochi giorni prima, attraversando in treno la sconfinata pianura della Mazovia, avevo finito di leggere i Cavalieri della Croce, e l'alta figura immaginaria dell'evocatore m'era apparsa più volte, nel mio desiderio ansioso di rappresentarmela, sull'ondeggiar del grano, e per entro le oscure foreste di betulle e di faggi, e sui riflessi perlacei delle acque morte, tra il gracchiare dei corvi innumerevoli. ora, avrei visto, finalmente, l'uomo, dopo aver conosciuto il poeta della vecchia Polonia, e la sua parola viva m'avrebbe fatto più certo, quasi, della passata esistenza di tutto quel popolo di sogni eroici, di cui si nutrì e s'allietò la nostra giovinezza...