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IL BUON CUORE 205


core, dei bovini e dei cavalli, è il complemento indispensabile al sistema agricolo del paese, e costituisce pure uno dei cespiti principali di rendita: una parte dei possessi è sempre riserbata al pascolo.

Triste caratteristica di tutto il Rio Negro e di gran parte del Sud della Repubblica Argentina, è il vento fortissimo che vi spira quasi di continuo; vento così forte che fa mulinare per l’aria incessantemente veri turbini di terra, che per giornate intere oscurano il sole, e riescono fastidiosissimi specialmente a chi non vi è abituato; so di coloni italiani che il fenomeno scoraggi e costrinse ad abbandonare quella residenza: talvolta poi la pioggia di rena ha raggiunto tali proporzioni da riuscire disastrosa alle coltivazioni, che ne sono rimaste sepolte: a questo fenomeno deve attribuirsi lo strato assai spesso di sabbia che ricopre il suolo di quasi tutto il Rio Negro e degli altri territori meridionali. dell’Argentina.

Il valore delle proprietà del Rio Negro varia naturalmente moltissimo a seconda che esse siano oppur no irrigate: un possesso che aveva prima un valore trascurabile, appena abbia acqua a sua disposizione o sia preparato per la coltura, costa anche mille lire all’ettaro.

I 24.300 abitanti del Rio Negro sono prevalentemente spagnuoli; ve ne sono poi indigeni, russi, tedeschi ed emigrati di ogni nazionalità che danno alla rada popolazione un carattere cosmopolita.

Collettività di emigrati italiani nel Rio Negro non ne esistono: ve ne sono però come peones sparsi per le chacras; si può dire che ve ne sia uno impiegato per ogni azienda, col salario e le condizioni che abbiamo sopra accennate. Vi sono anche alcuni italiani proprietari chacras: essi hanno raggiunto quella posizione lavorando prima come salariati presso altri proprietari, e col risparmio hanno acquistato a poco prezzo il terreno che poi si è valorizzato. Ora per gli italiani emigrati la possibilità di divenire proprietari con questo sistema è resa assai più difficile: perchè i terreni buoni che offrono opportunità per l’agricoltura, sia per la vicinanza alla ferrovia, sia per la facilità di irrigazione, furono per estensioni vastissime accaparrati, come avviene purtroppo in tutta l’Argentina, da speculatori, o concessi per favoritismi; questi proprietari per lo più, senza curarsi di farli lavorare, attendono che il movimento automatico, spesso artificioso, di valorizzazione li porti a prezzi elevati, per rivenderli carissimi, magari suddivisi in piccoli lotti.

Terreni fiscali buoni, in posizioni favorevoli da acquistarsi a basso prezzo, ne sono rimasti pochissimi. A mano a mano che avanza l’escavazione dei canali, si fa la caccia ai lotti di terreno ancora disponibili lungo i medesimi, e si acquistano in prevenzione quando i lavori dei canali ne sono ancora distanti parecchi chilometri, e quando mancano due o tre anni ed anche più prima che l’acqua vi arrivi. Chi, come di solito i nostri emigrati, non dispone di forti capitali, difficilmente può occupare quei terreni dello Stato che fa obbligo di metterli subito, almeno in parte, a coltivazione, il che richiede la immobilizzazione di un discreto
capitale e la possibilità di attendere il frutto a lunga scadenza.

Quindi i nostri emigrati che si rechino in quella regione non possono in genere sperare di divenir presto proprietari di terra, ma essi in gran parte dovranno accontentarsi di impiegarsi come salariati presso aziende di stranieri.

Ranieri Venerosi.

(Continua).

LA CURA DELL’UVA

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Innanzi tutto l’uva è un nutrimento; contiene sostanze albuminoidi nella proporzione media di 17,150 p. 1.000, che sono la materia prima per la fabbricazione e il rinnovamento dei nervi, dei vasi, delle fibre muscolari, dei visceri; contiene dello zuccaro (glucosio) che è un vero riformatore del grasso. Ecco perchè molti contadini di regioni viticole posson vivere per mesi quasi esclusivamente di uva senza deperire, anzi con mani• festo benessere.

Ed in proposito corre in certe campagne il proverbio: «il fannullone non teme più la fame quando comincia l’uva a tingersi in nero». Persino qualche animale carnivoro, in mancanza dell’alimento preferito, vive d’uva fino all’autunno innoltrato. La volpe d’Esopo, che rinunciò filosoficamente al grappolo troppo alto con quella scappatoia del «troppo immaturo» fece realmente un sacrificio di gola; e la faina, anche nell’inverno, fa razzie sui grappoli sospesi nei sottotetti e nei granai. Non fu quindi dato a torto all’uva il titolo di «latte vegetale».

Ma è anche un aperitivo, migliore del vermouth chinato, grazie all’acido lattico che dal suo glucosio si sprigiona e dall’acido cloridrico in cui il suo cloruro di sodio si trasforma. Per il solfato di potassa poi che contiene è un lassativo blando, come la manna, a piccole dosi; a dosi alte, disostruisce gli intestini e favorisce la circolazione del sangue in tutti i visceri addominali. In istato di non perfetta maturità gli acidi vegetali che racchiude in abbondanza — citrico, malico, tartrico, peptico, racemico — e il bitartrato di potassa, i quali tutti, a contatto dell’acido carbonico del sangue si trasformano man mano in carbonato di potassa, le danno un effetto diuretico pronunciatissimo. Insomma, tutti i pregi delle famigerate acque di Karlsbad, di Marienbad, di Sedlitz, di S. Vincent, di Montecatini son quegli stessi dell’uva, meno il buon gusto. Accresce la fluidità del sangue per mezzo del suo carbonato di soda e di potassa; arricchisce col ferro e col manganese i globuli rossi; col fosfato di calce favorisce la nutrizione delle ossa. Sono in debole proporzione, è vero, queste sostanze benefattrici, ma è riconosciuto dall’esperienza che certi sussidi terapeutici quali ci offre la natura hanno, in piccole dosi, efficacia maggiore che le dosi alte dei preparati dell’arte.

Non esageriamo. Gli effetti benefici delle cure d’uva si debbono poi proprio tutti al succo di quegli acini?