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IL BUON CUORE 5


fessare che non lo spirito di Dio ci muove, ma il nostro proprio, tutto affascinato e accecato dalle cose della terra. Se non sempre, spesso è così: questi sono i nostri peccati.

Invece ogni cristiano dovrebbe essere vigile per intendere la voce dello spirito: dovrebbe farsi una pia abitudine interrogarlo prima di decidersi ad operare, specialmente quando si tratti di cose gravi, di deliberazioni solenni. E allora guardiamo bene di non confondere con la voce di Dio quella del nostro proprio io: è difficile ricalcitrare contro il pungolo, ammonisce Paolo, ma è meno difficile mettere al suo posto motivi meno nobili, meno elevati, meno puri, illudendoci di seguire una chiamata divina. Dobbiamo fare silenzio noi e lasciare parlare il Signore e quand'Egli parla noi lo dobbiamo ascoltare.

«Ho sentito che questo era il mio dovere e mi son decisa così» diceva un'anima santa, accettando un compito di sofferenza e di costrinzione... E lo diceva con calma solenne, con pace, nel dolore, radiosa...

Tali sicurezze interiori non posson venire che dall'adesione a un volere divino.

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Gesù opera: all'impulso dello spirito risponde la sua vita pratica.

va anche a Nazaret, nella Sinagoga, e là parla liberamente della sua missione con quella grande fermezza che o avvince o dà scandalo: per ora tuti sono meravigliati di Lui, ma, presto, l'ammirazione cederà il posto alla maledizione...

La schiettezza di Gesù si ritrova in tutte le anime grandi che continuano il suo apostolato: essi sentono l'adozione di Dio in loro a pro dei fratelli e dicono semplicemente, umilmente quello che trovano in sé stessa... quelli che lo spirito illumina ne restano edficati; gli altri, gli altri preferiscono le ipocrite modestie, il falso pudore che tenta nascondere una creduta propria virtù.

L'umiltà vera non sa queste circospezioni, essa è compagna della semplicità, di una quasi mirabile ingenuità che, a volte, trasfigura un uomo....

Se non sarete come fanciulli non entrerete nel regno de' Cieli!

Questo spirito d'infanzia così caro a Gesù (che non è spirito puerile) non si ritrova nelle piccole virtù, e nei piccoli uomini, ma solo negli eroi della virtù, della carità, nei grandi di mente e di cuore!

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Dalla efficacia potente della sua parola gli ascoltatori di Gesù son tratti a indagare l'esser suo.

«Non è costui il figlio di Giuseppe?» si chiedono essi, meravigliando.

Gesù passava senza distinguersi per nulla dai suoi contemporanei, faceva tutto quel che essi facevano, parlava, vestiva, mangiava come essi; nessun segno esteriore da essi lo distingueva.

Ma la sua grande, univa unione con Dio lo trasfigura, la sua santità incomparabile s'impone a tutti, e tutti pur conoscendo la famiglia di Gesù, pur ritenendolo fratello loro, loro conterraneo, sono portati, sentendolo così superiore ad essi, a non crederlo più simile a loro, a indagare quale mistero di grandezza originaria si celi in Lui...

Come mi piace la semplice meraviglia espressa dalla frase angelica: «Non è costui il figlio di Giuseppe?» E' il principio di quella indagine amorosa e riverente, che, di secolo in secolo, ha stretto l'umanità intorno a Cristo, intorno al Salvatore. Dio è in Lui, e solo in Lui l'uomo trova riposo e rifugio.

Ma Gesù non è solo il nostro Salvatore, il nostro maestro: egli è anche il nostro modello. Ogni cristiano dovrebbe, nella sua piccola cerchia, rinnovare in certo qual modo i prodigi di Gesù, continuare la sua rivelazione, portare il suo spirito nel mondo: spirito di carità, di verità, di pietà.

Non sono uomini come noi i Cristiani? dovrebbero potersi chiedere i mondani... oh, forse, se lo spirito del mondo non avesse tanto preso in noi il posto di quello di Cristo, se noi fossimo meno indegni della nostra vocazione, se la nostra vita corrispondesse ad essa, forse, allora, noi saremmo davvero, come Gesù desiderava, la luce del mondo e il sole della terra.

La colonizzazione italiana

negli Stati Uniti del Nord America


Sarebbe ben difficile fare un elenco anche solo approssimativo di tutti gli scritti ormai pubblicati su questo argomento. in volumi poderosi e in riviste senza numero questo tema è stato trattato un po' da per tutto, di qua e di là dell'Atlantico. Tutte le Società, sorte in questi ultimi decenni col proposito di venir in aiuto dell'emigrante, si sono occupate di questo problema. Governi, economisti e finanzieri hanno dedicato somme cospicue allo studio ed alla soluzione del quesito: come popolare le terre nord-americana ancora incolte? Proposte e tentativi svariatissimi si sono alternati con ammirevole costanza, ma pur troppo con poco successo degno di nota.

Chiunque esamini la formazione degli odierni centri agricoli negli Stati Uniti, costituiti da popoli immigrati da breve data, irlandesi, germanici e scandinavi, arriva sempre alla stessa conclusione: i nuclei colonizzatori si sono formati senza piani prestabiliti, senza impulsi di forse coalizzate. Un pioniere ha cominciato, poi è venuto il parente, l'amico, il paesano e via via. Questo pioniere è stato talvolta un avventuriero, spesso un minatore e soventissimo un operaio di fabbrica od un manovale di ferrovia, il quale, coi risparmi accumulati con grandi stenti e dopo aver osservato come i prodotti della terra trovino spaccio rimunerativo, si è convinto che solo lavorando la terra avrebbe ottenuto quella sicurezza d'esistenza invano cercata nelle occupazioni incerte della città, della fabbrica o della miniera.

Le floride regioni agricole del West, oggi in mano specialmente dei tedeschi, si sono formate a caso e