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194 IL BUON CUORE


e vincendo le ultime sue soluzioni lo spinse a recarsi dal vescovo di Belley. E il vescovo accordò che suo fratello e due altri preti della diocesi divenissero con lui i primi Maristi e che altre vocazioni potessero iniziare i Fratelli Coadiutori, le Sorelle e il Terzo Ordine di Maria. Giovàn Claudio Maria Colin era decisamente un fondatore! Eppure anche più tardi,tornando a pensare a questa soluzione di tante continue incertezze egli insisteva a dire che solo la Vergine era stata l’anima fondatrice.e che s’era servita di lui solo perchè era il più indegno. Il primo sgomento per lui nella piccola comunità in formazione fu di sentirsi chiamare il signor superiore, tanto era di fastidio la pompa del nome per lui che doveva porsi come primo contro il suo desiderio di dileguare senza ’traccia... Certamente alla fioca luce dell’esperienza umana si potrebbe concludere che un carattere simile non avesse tempra per governare degli uomini. Sembrava infatti che lo impigliassero sensibili contraddizioni e mentre compiva dei passi che dovevano dare un innegabile risalto alla sua persona, lo pungeva lo stimolo acuto di passare inosservato, vicino al bisogno assoluto di espandere e condurre al trionfo una idea che riputava di Dio, dal fondo del Suo cuore sorgeva la risoluzione decisamente recisa di cancellare ogni traccia sua, ogni ómbra della sua persona dalla lotta che questa medesima idea gli aveva fatto intraprendere. Quale destino attendesse la società di Maria o che riuscisse o che fallisse egli doveva soffrire, sempre, sia nella fervorosità del suo zelo, sia nella umiltà timorosa di rimanere offuscata da un trionfo. La carica di fondatore, di superiore, di personaggio in vista sconcertavano tutte le sue aspirazioni; ma a lungo andare la stessa incompatibilità tra il proprio carattere e la natura della sua missione gli dovè sembrare così singolare che finì per vederci un segno di Dio. Georges Goyau.

La dottrina di un filosofo cristiano

Francesco Acri si nasce, non si diventa. Generato in quel lembo della Magna Grecia, ove sbocciò la scuola di Pitagora, egli ha ereditato il seme speculativo ed estetico di un stirpe gloriosa, il quale, intepidito al sole della verità, rigerminò e rimise fiore. Giovinetto respirò le aure vivaci di filosofia e poi, datosi al diritto e prestamente svogliatosene, alla filosofia e alle lettere di nuovo si volse e tutto e per sempre si ridette. E fu filosofo, fu. artista, fu filosofo artista.

Artista e filosofo Artista lui credettero il Carducci, che lo predilesse caramente fra i suoi dotti colleghi, e il Pascoli, che per lui ebbe riverenza di secolare e pietà di figlio. Filoso egli è per acume d’ingegno, per trasparenza e forza di pensiero fra i più notabili della età nostra, e fra i viventi forse quello nel quale il genio speculativo italiano più nitido rifulge nella sua espressiva e caratteristica originalità. Non ha messo a stampa voluminose opere: e le poche non ha condotto a termine. Il suo volgarizzamento di Platone, incompiuto sfortunatamente, non è lavoro di critica nè di erudizione, perchè non è corredato di note e di proemi, ma è lavoro di arte, opera di vita, dove l’antica divina bellezza, quasi specchiantesi in terso cristallo, si mostra e risorride morbida e fresca. In tutti i suoi scritti è un’inalterabile eguaglianza, un’arte senza vapori e senza fumi, serena, gioconda, spontanea, efficace, perchè le sue aspirazioni egli deriva dalle pure sorgenti dell’affetto, dal cuore acceso di fede e di bontà. Tutto è pittoresco, dove ei narra o discute, tutto è in azione: lo storico.e il dialettico sparisce; ciascun personaggio è in iscena; è una conversazione viva, animata, rapida; e l’animo di chi legge è commosso da tanta naturalezza e verità. Ma i suoi scritti così seducenti per lo stile elegante e forbito, Sanno per il savio un’altra attrattiva intima, irresistibile, quella d’una morale sempre buona e sempre onesta. I suoi elogi funebri sono meste armonie che compongono l’animo a sublime quiete, facendolo meditatore della morte e delle speranze d’una vita futura. Nei suoi pubblici discorsi la sua parola è, vivificata dall’amore dell’Italia e dell’uman genere, della religione degli avi e dello spirito di Cristo. In qualunque occasione egli consacra la sua eloquenza a dipingere le bellezze della verità e della saviezza, la soddisfazione che dànno i sentimenti onesfi e il rapimento dei cuori religiosi che amano Dio e ne sono amati. Negli scritti polemici non ubbidisce a ira o a sdegno, schivo di contendere con le grida, contende con le ragioni condite di umore scherzoso e di piacevole ironia; difende con vigore dottrine trascurate che, a suo giudizio, non devono essere trascurate; combatte, dialettico senza sofismi, dottrine venute in voga, mostrandone le manchevolezze per un processo tutto interno: prende di mira specialmente gli hegeliani e i positivisti, che a lui, spiritualista, pajon tutti materiali ad un modo. Il suo proprio sistema l’Acri non l’ha svolto in un’opera compiuta ed organica,; lo ha appena delineato in un abbozzo. 11 suo sistema La novità in filosofia, secondo lui, è la assunzione a ufficio primario di concetti ch’erano messi in uffici secondari. Il criterio di ogni principio è l’esame della sua virtù ad attrarre e ad assimilare. Perchè il criterio sia generativo del sistema, bisogna che