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196 IL BUON CUORE


fantasmi, e altresì eguale è il processo, onde quelli si determinano e si definiscono: diverse sono al contrario le figure, e variabile è il colore che queste ricevono dai sensi. Lo spirito è virtù trasfigurativa ed è trasfigurabile esso medesimo in quello che trasfigura; come persona che, in quel che converte la indocile materia in opera d’arte, converte sè in artista. E se fatto trasfi-• gurativo paragoniamo a una veste, ne viene che prima l’anima vesce l’impressione in sensazione, poi la sensazione in immagine, e poi l’immagine in concetto, e poi in giudizio, in raziocinio, in scienza, che è la più chiara veste, che essa dà al mondo. E quando l’anima ha rivestito il mondo di questa veste nuziale,.allora se lo sposa e l’ama cioè lo vuole, perchè perfetto volere segue al perfetto sapere. L’idea è intellezione e mente: e sodalizio di elementi unificati dalla mente nostra, come il mondo è sodalizio di ’elementi unificati dalla mente di Dio. Lo spirito, ricevendo la impressione, la trasforma, e poi ritrasforma quel che è già trasformato; e quanto più ritrasforma, più difformasi dal mondo esteriore, e l’essenza sua fa manifesta. I positivisti non hanno ragione di dire allo spirito: la virtù del tuo sigillo finisce qui; se sigilli più, l’opera tua è vana. Il mondo che si squaderna davanti a noi non è reale, ma fantastico: e noi continuamente ci moviamo in esso e guardiamo in esso, e per nessuna guisa vi si può profondare dentro la vista e trapassare in quello che è reale. Per la sensazione il mondo di fuori pre internarsi entro noi; e internato che si è per la fantasia pare tragittarsi di nuovo fuori. Ma io non posso percepire il corpo reale in sè, perchè tra quello e me c’è molti medi; e però quella che si chiama percezione del corpo è meglio chiamare percezione del fantasma. Ma il fantasma può essere che risponda alla cosa reale? Ora per affermare che la figura fantastica risponda a quella che è veramente, dovrei comparare, e non si fa comparazione con un solo termine. Inoltre, la stessa esperienza dice che il mondo che crediamo vedere è mondo fantastiCo. Ma non perchè siamo, viviamo, e ci muoviamo in un mondo fantastico, si deve dubitare se c’è o no un mondo esterno. Il mondo fantastico è in noi e ha per causa noi, ma noi non siamo causa unica, perchè quello ci si presenta e ci si nasconde con ordine, secondo che si pongono certe condizioni e si tolgono uniformemente. La natura corporale si continua nella natura spirituale; dall’una all’altra è un salire e scendere, la morte rompe la continuità; il mondo muore allo spirito, polche spogliasi delle parvenze che da lo spirito. La virtù di conoscere è infinita, perchè non può segnarsi un termine a nessuno dei tre elementi, l’assoluto, il fantasma e la mente, che si trovano in ogni concetto. La mente ideifica gli elementi intelli gibili, e dopo ideificatili li rideifica con più lavorio, ma non possiede in sè la ragione del suo ideificare; nè gli intelligibili hanno in sè la ragione che dà alla mente la virtù di ideificare e alle nascoste cose la

virtù di essere intellette e ideificate, e chiamasi intuizione la connessione della mente con l’assoluta ragione. La quale è innominabile, o, se si voglia dire in altra forma il nome suo è in ogni nome. Ora la chiarezza alla ragione o al principio non viene da nomi finiti in cui si scioglie, nè esce a noi cotanto lume dal suo interno che si possa fare senza nomi finito che le facciano da specchi. La mente, ad ogni atto e ad ogni forma sottopone l’altro, per legge; all’altro come elemento la mente può giungere per analogia e per indiretto, ma all’altro come principio essa va senza ambagi, dirittamente. E per qual ragione domanda dell’altro che è principio? Perciò che vede sè come faciente e come fatta, e vede il fantasma altresì come faciente sopra lei e come fatto da lei; e dimanda il fatto come possa fre; cioè uscire possa dal contrario suo, e le conviene rispondere che c’è un fare schietto, che rende ragione del fare stesso del fatto. Questo fare schietto e perfetto, definito in sè infinitamente è l’atto creativo in sè, è Dio. (Continua).


Religione


Vangelo della 6a domenica dopo Pentecoste

Testo del Vangelo.

Disse il Signore Gesù questa parabola: Un uomo fece una gran cena, e invitò molta gente. E all’ora della cena mandò un suo servo a dire ai convitati che andassero, perchè tutto era pronto. E principiarono, tutti d’accordo a scusarsi. Il primo dissegli: Ho comperato un podere e bisogna che vada a vederlo; di grazia, compatiscimi. E un altro disse: Ho comperato cinque paia di buoi e vo’ a provarli, di grazia, compatiscimi. E un altro disse: Ho preso moglie, e perciò non posso venire. E tornato il servo riferì queste cose al suo padrone. Allora sdegnato il padre di famiglia, disse al suo servo: Va tosto per le piazze e per le vie della città, e mena qua dentro i mendici, gli stroppiati, i ciechi e gli zoppi E disse il servo: Signore, si è fatto come hai comandato, ed havvi ancora luogo. E disse il padrone al servo: Va per le strade e lungo le siepi e sforzali a venire, affinchè si riempia la mia casa. Imperocch_, vi dico, che nessuno di coloro che erano stati inviati, assaggerà la mia cena. S. LUCA, cap. 1 4

Pensieri. L’invito largo e generoso del buon signore alle sue cene, invito primamente esteso agli amici, di poi ai disgraziati, degni di compassione, ed in terzo luogo la coazione a chi di ciò manco sospettaVa, la mi