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258 IL BUON CUORE


che avrebbero di duro e di aspro nei contorni. Le ombre non sono mai nè troppo grevi, nè troppo nere. Tutte le superficie per una gradazione insensibile di colori par si fondano nei limiti estremi sì che è impossibile determinare ove una sfumatura cominci, e l’altra finisca. Non vi è senza dubbio chi non abbia ammirati i paesaggi di Claude Lorrain tutti pervasi di una luce che appare ultra-terrestre... Ebbene tale è la luce di Roma!»... • •

Jules Bertaut, l’acuto ed arguto critico della letteratura femminile contemporanea, ha voluto compiere oggi un’opera gentile oltre che interessante. Egli ha trascorso, or è qualche tempo, alcune settimane a Roma, e chi ebbe il piacere di conoscerlo, e di conversare con lui, dovette facilmente accorgersi del vivo interesse che la società romana accendeva nel suo vivace e sensibile spirito parigino. Jules Bertaut esprimeva la sua ammirazione, o meglio la sua commozione estetica, con parola facile e abbondante e fin d’allora gli sorrideva il disegno di scrivere dell’Italia e delle città italiane. Ora il suo desiderio ha preso forma e vita nelle pagine di un libro che si legge volentieri da capo a fondo: L’Italie vue par les francais, una specie di antologia, le cui pagine tratte da autori di tutti i tempi sono piacevolmente concatenate dalla prosa elegante del raccoglitore, che intese certo dimostrare come sino dai tempi più remoti i suoi connazionali ammirassero il nostro paese. E noi gli siamo sinceramente grati del paziente e amoroso lavoro, e ci è grato anche rammentare come l’arte in genere, e la letteratura in ispecie, compia sempre opera affratellatrice. Noi in questi ultimi tempi non potevamo compiacerci troppo della diplomazia e del giornalismo francese; ecco un libro evocatore, un libro tessuto d’imagini d’arte che ci viene a dire come di vecchia data sia l’amicizia dei nostri vicini, perenne e sempre nuova la loro gioia delle bellezze nostre. Tale per lo meno è l’intenzione dell’autore, tale il pensiero dominante che risulta dal suo commento ai giudizi e alla descrizione di quegli autori francesi che si sono occupati dell’Italia. Per ritrovare nella letteratura e nella storia francese qualche riferimento alla patria nostra, bisogna risalire ai tempi di Carlo VIII. L’invasione francese in Italia fu una specie di rivelazione per l’esercito sceso alla facile conquista. E certe parole di entusiasmo per le contrade nostre fanno ripensare a quella sorpresa che una tradizione letteraria ha attribuito ad Alboino e ai suoi longobardi i quali, a dir vero, venivano da regioni meno pittoresche e più squallide. Comunque, dopo Carlo VIII, l’Italia ebbe di frequente ospiti francesi. -E il viaggiatore era allora qualche cosa di aspro e di piace vole insieme; e i piccoli alberghi, ove i lenti viaggiatori prendevano il loro riposo o cambiavano i cavalli, presefitavano la più strana sorpresa, ed esercitavano una specie di tiranni su gli ospiti i quali doveva no ad ogni modo contentarsi del trattamento che veniva loro imposto. Siccome i francesi hanno avuto, forse prima di noi, il gusto dell’eleganza e la preoccupazione del benessere, o forse perchè fin dai tempi più remoti hanno cominciato assai presto a lamentarsi dei disagi cui li sottoponeva l’ospitalità italiana. Ecco Rabelais, il quale scende in Italia nel 1533 — e che sarà il primo a dare una forma d’arte alle sue impressioni — descriverci l’«Albergo dell’Orso» il più vecchio albergo romano che esiste tuttora di fronte a Castel Sant’Angelo, a sulla riva delle torbide acque del Tevere» come accenna l’autore di Pantagruel. Ed aggiunge: a Non è davvero confortevole come albergo l’Albergo del’Orso: dalle finestre dei vetri rotti, dalle porte che non chiudono, dalle immense sale appena rischiarate da qualche pallido lucignolo, e dovunque una sporcizia rivoltante, e insetti di ogni specie!». E infatti dopo lo scrittore francese confronta il ricetto romano con gli héitels lionesi dove si possono gustare pranzi succolenti. E dall’epoca di Rabelais fin quasi ai nostri giorni la nota che più frequentemente ricorre nelle narrazioni dei viaggiatori francesi è di lamento o di critica sulle forme esteriori della vita italiana, da quelle degli alberghi a quelle della migliore società. Quando non son dilettanti di archeologia o di storia dell’a’rte, sono narratori facili e superficiali degli usi e costumi nostri, visti cosa come si può fare da viandanti quasi distratti, o da frequentatori di salotti, cui piace naturalmente dimostrare che valg,ono di più quelli del proprio paese. Nondimeno anche questo studio superficiale acquista, secondo l’arte del visitatore, arguzia, vivacità e leggiadria; sfiora spesso qualche verità fino a toccare talora, quasi senza avvertirlo, qualche nota profonda. Ma Jules Bertaut, che pure null’altro aspirava che a dimostrarci l’interessamento dei francesi per l’Italia, attraverso i secoli, che con fedeltà scrupolosa ha richiamato il pensiero dei più remoti scrittori, che ci ha messo sott’occhio, pur di mezzo alla messe abbondante Cle’ più facili giudizi, 21i sprazzi vividi di ispirazione e di intuizione che ebbero taluni autori soggiornando fra noi, dal Bellay al Barbier, al Michelet, di cui è nota la comprensiva espressione: ma nourrice Italie! dice ad un certo punto alla fine del suo libro: a Bisogna fare una distinzione fra gli scrittori che visitarono l’Italia prima di Maurice Barrès, e quelli che vennero dopo» Pensando che Maurice Barrès è ancora nella piene2za delle sue forze e nella maturità del suo ingegno, bisogna convenir subito che, se moltissimi furono i viaggiatori francesi a parlare del nostro paese,’ pochi sono quelli che possono aver seguito il salutare esempio del Barrès; e questo null’altro vuol dire se non che di data assai recente è il migliore interessamento, e la più illuminata compressione delle ricchezze italiche, da parte dei nostri confratelli francesi. Maurice Barrès è senza dubbio personalissimo nelle sue impressioni, e perciò profondamente originale