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314 IL BUON CUORE


che parve riempire di sè l’ampia chiesa in ogni angolo... Le poche, vecchissime suore, ascoltavano immobili, dietro le grate. Noi scorgevamo, indecisi, i loro profili. Ma esse non vedevano forse nessuno; non vedevano la gran folla mondana che si accalcava nel tempio, magnifico, portandovi un soffio della vita già obliata; esse non ricordavano neppure i tempi in cui un’altra folla, ben più solenne e scintillante, riempiva la loro chiesa... Le ultime Clarisse sognavano sul ritmo della suggestiva musica perosiana, l’ultimo loro sogno, il più soave e il più luminoso: e quel canto sottile di violini pareva ridir la tristezza del loro refugio consacrato alla morte, e quel trionfale squillare di trombe la liberaione della loro anima assurgente in quella luce di cui già intravedevano, sulla soglia, l’inestinguibile splendore. E sparvero, poi che fu cessata la musica; sparvero lente, mentre le campane sorgevano a ripetere il saluto dell’angelo nel cielo sereno... E pensai, allora, quanto mite e rassegnato struggimento deve essere in fendo all’anima di queste vecchissime clarisse che passano come bianchi e taciti fantasmi nei corridoi, nel coro, nel refettorio del loro deserto monastero, che ripensano, ogni giorno; ogni ora, al tempo nel quale tante altre sorelle trascorrevano con esse la medesima silenziosa esistenza, in quel luogo ove appassì lentamente la giovinezza del loro corpo e donde non usciranno, ora, che quando saranno distese nella nuda cassa d’abete. Nè, certo, il pensiero della morte le turba. Tante altre sorelle esse hanno veduto spegnersi di tante altre han confortato l’agonia nelle piccole celle ora vuote, a tante altre han chiuso gli occhi e composte in croce le braccia sul petto!

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La triste sorte delle ultime abitatrici di Santa Chiara ispirò un delicato poeta scomparso ancor giovine, Daniele Oberto Marrama, una squisita poesia: Le suore: Ne son rimaste quattro. Erano cento. nel tempo andato quando il monistero dava la voce dei suoi bronzi al vento ed il tempio magnifico e severo era alla festa tutta una fiammata e ardeva una pupilla in ogni cero. Ne son rimaste quattro. Ora alla grata sembran fantasmi avvolti in lini bianchi e ogni testa si piega, abbandonata., Guardano tutte nei deserti banchi’ della chiesa e all’altare ch’è nel fondo, e si segnan con larghi gesti stanchi. Quattro fantasmi, in troppo vasto mondo! L’ombra le cinge come d’un sudario, ed il silenzio ha un respirar profondo. E il Marrama imaginava che ognuna di queste suore formulasse silenziosamente il voto di chiudere gli occhi per l’ultima, nel monastero deserto, di accompagnare le altre’ sorelle alla tomba....

Ma la più vecchia, quella ch’è badessa, da sett’antanni, e quasi è centenaria cieca, ascolta placida la messa. Ella sa che la sorte mai fu varia in sett’antanni accompagnò la bara d’ogni sorella e d’ogni dignitaria. Sentì passare la tempesta amara ’d’ambizioni intorno al suo destino stette queta, come fiamma chiara. Ella sa che domani anco il becchino ritornerà per una bianca suora rifarà la cieca il suo cammino. E resterà, una sera, la signora del Silenzio, dell’Ombra, e con la mano andrà toccando il suo dominio, ancora. Camminerà lungo le celle, piano ne spalancherà tutte le porte. Poi l’occhio spento guarderà lontano. E solo allora-aspetterà la Morte. Intanto, sul limitare della luce, le estreme abitatrici di Santa Chiara trascorrono la loro vita d’ombra, mentre le fervorose sommesse preghiere continuano a spandersi in ogni ora del giorno, nelle poche celle in cui arde ancora una forza d’amore non spenta giammai. E quando l’ultima di esse sarà morta, sparirà come l’estremo bagliore in un passato di bellezza, di forza e di fede, a rievocarci i} quale resteranno soltanto le regali tombe solenni, nel tempio vicino. Napoli, luglio. ALBERTO CAPPELLETTI.

Il poeta di un popolo

PETER ROSEGGER

BERLINO, agosto. A Peter Roseger, il «poeta mero» della ’Stiria. che di questi giorni, nella ricorrenza del suo settantesimo compleanno, è stato fatto segno in ogni paese di lingua tedesca alle più spontanee e onorevoli manifestazioni di ammirazione e di simpatia (dai telegrammi d’augurio del conte Stiirgkh e del ministro Hussarek( del Kronprinz e del Cancelliere Bethmann Hollweg, alla cospicua elargizione della città di Vienna a benefizio del «Deutscher Schulverein all’indirizzo del corpo degli insegnanti; al dono, commovente nella sua ingenuità, delle scolarette ili Alpl — il villaggio nativo di Rosegger -- sei paia di calzettini opera delle loro mani) anche la stampa cattolica non ha mancato di offrire il suo tributo di congratulazioni e di lodi, ma queste e quelle attenuate da riserve chiare ed esplicite. «Noi non vogliamo nulla detrarre ai veri meriti di Rosegger, volentieri riconosciamo, anzi, che in parecchi dei suoi lavori spira un’aria fresca e sana, e sinceramente ci compiacciamo della semplicità della