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IL BUON CUORE 334


E bisognerebbe aver la crudeltà del Fariseo o del levita evangelico per,disinteressarsi dei casi, purtroppo frequenti, di operai che feriti sul lavoro si dibattono tra le pastoie della vera burocrazia, per farsi liquidare la magra pensione. Chi scrive, in un’ora diede udienza e consiglio a venti di tali operai in un caffè di un paese del bacino di Bricy, e ne uscì lagrimando, nel vedere tanta gioventù e forza italiana venire ad infrangersi contro il ferro francese, per cambiarlo in oro col suo sangue! E’ bene ricordare che i missionari sentono in cuore il sentimento patrio e l’istinto dell’amore pei connazionali quanto i francesi, e non hanno animo, consci che ogni carità non è solo di pane o di parole sante, di abbandonarli nelle contingenze materiali tristi. Giusto il detto biblico essi si fanno tutto a tutti per trascinare (se non tutti, quanti possono) a Cristo. Non tutti certo, perchè le statistiche dànno il 5o per cento famiglie anormali contro le quali s’infrange ogni buona volontà, a meno di calpestare la legge naturale, il 6o per cento degli scapoli sono girovaghi ed è raro il caso in cui lavorino più di sei mesi nella stessa miniera e nello stesso paese, quando poi non si voglia calcolare che un gran numero pure non sono in Francia se non nel tempo in cui sono sospesi • i loro lavori in Italia, e rimpatriano non appena essi riprendono il corso ordinario.

responsabilità o sugli operai o sui missionari o è leggerezza o cattivo giuoco. Gridare che il povero operaio che disputa alla terra e alla morte col piccone e con la dinamite, un pezzo di pane, e checchè si dica, talvolta anche scarso, non è morale, non è religioso, dato l’ambiente e gli ostacoli che si frappongono alla sua elevazione, è cosa che rivolta una coscienza onesta. Gridare contro un povero pioniere che ha lasciata la patria per la terrà straniera, con le migliori intenzioni di bene, e si trova di fronte, tutte le barriere del male, è cosa senza carità. Il pane altrui è già duro, anche se sudato, è iniquo renderlo più amaro! E conclude con osservazioni di indubbio valore, perchè dettate da un francese: a Là ove le società provvederanno ai bisogni degli operai stranieri o indigeni essi non trascineranno una vita da bruti. Là ove le miniere si valgono delle chiese e delle scuole libere, e non già di sale di feste, per quanto di lusso, per fomentare un regime profilattico contro la tendenza al vizio, la fede non si estingue, la morale si conserva, e il diritto e la religione vengono rispettati. Là ove l’autorità lascia libertà d’azione al clero e ai missionari le colonie italiane possono vivere di una vita sana e fiorente. Tancredi Ricca. Dell’Opera di Assisteaza agli operai italiani emigrati in Europa

Un dotto sacerdote francese che da anni vive nel bacino di Bricy e s’è presa a cuore per dovere e per amore la questione, osservava al proposito che i principali fattori della rigenerazione cristiana degli operai sono la fede dei padroni e l’esempio dei capi. Nella Lorena annessa possono dar esempio i grandi centri industriali dei De-Wendel. Ma oltre ai so anni di esistenza ch’essi contano, oltre al regime più severo delle leggi tedesche, hanno ancora l’incomparabile vantaggio d’essere gestiti da una famiglia la quale da generazioni è esemplare per la sua fedeltà alle tradizioni cristiane e pel suo amore e rispetto alla religione. Essi ebbero premura di far sorgere la chiesa e la scuola nel centro delle loro cités e con l’esempio e col lavoro ottennero risultati confortanti. Ma fu un lavoro di 5o anni e prodotto dalla volontà tenace di persone potenti e convinte. Ma quando invece — ed è cosa tanto naturale! — o proprietari o direttori di officine o miniere, piccoli Combes in quarantottesimo, non solo si disinteressano, ma ostacolano ogni azione religiosa, osteggiando ogni opera cattolica col far pressione sugli operai, cosa potrà ancor fare il povero missionario? E purtroppo talvolta l’intrigo elettorale, la pressura politica s’aggiungono a sventare ogni migliore volontà o iniziativa non solo dei missionari, ma anche del clero indigeno, per modo che senza libertà e osteggiati si è ridotti nella condizione triste di veder il male, saperne il rimedio e non poterlo adóttare. La questione è assai più complessa di quanto la intravide l’egregio articolista, e volerne gettare ogni

Uno storico della marina PADRE ALBERTO OUGLIELMOTTI

Questa scrittura è omaggio di discepolo a maestro di marino giovane cui, anni addietro, il marino già attempato dischiuse una via nuova. L’armata d’Italia onde questa va giustamente superba, lascisi pure dire dai politici che fu creata da ministri e da generali; ma si cerchi più addentro nelle ragioni delle cose, si rintracciano le prime origini dei fatti, e scaturirà fuori la idea-forza gemma inestimabile, polita in cinquant’anni di lavoro assiduo e non mai interrotto da Francesco Guglielmotti di Civitavecchia che, entrando giovinetto nell’ordine Domenicano, vi prese nome nuovo di Frate Alberto in omaggio ad Alberto il grande, uno dei Titani della famiglia dei Predicatori. I Guglelmotti furono gente di mare ah antiquo. Pier Domenico, Francesco Maria, Gian Gaspare e Biagio appartennero alla marina pontificia. Nella casa avita, oggi decorata da una lapide onoratrice, nacque il 4 febbraio del 1812 il futuro istorico e lessicografo dell’armata. Francesco, durante gli anni del noviziato a Santa Sabina, diè prova d’ingegno comune. Una grave ferita al capo prodotto da una caduta gli sviluppò repentinamente una memoria prodigiosa e tenace oltre ogni dire.