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IL BUON CUORE 387


LA VOCE DELLE COSE

I Comignoli.

Io sono un poeta, ma polche non mi sono ancora deciso a scrivere un poema drammatico in endecasillabi sciolti, bisogna che mi contenti di vivere e di sognare in un altissimo abbaino che domina — ironia dei verbi! — tutta la città. Talvolta, particolarmente quando il tintinnio civettuolo di due monete sia pure di rame, si tace per ragioni facili a capire, e non fa sognare alla mia fantasia, sempre pronta a spiccare voli poco dirigibili, mi piace affacciarmi all’angusto finestrino dominatore e trascorrere pensando poco e sognando molto, le lunghe ore della notte. Anche ieri sera accadde tutto ciò. L’orizzonte era meravigliosamente chiaro: sotto il nitore delle stelle si distinguevano perfino, diritti e luccicanti come due spilli, i binari del vapore che si perdevano nell’infinito misteriosamente. L’aria meravigliosamente queta: nel silenzio della notte, soave culla al mio fantasticare, dentro l’anima mia aperta come un fiore alla pace profonda delle stelle, udivo, comprendevo la voce delle cose. Parlò la terra, ma dal mio trono troppo alto non udii ciò che dicesse; udii soltanto un fragore tragico e solenne che solo Beethoven potrebbe interpretare.._ Parlarono le stelle: ma dal mio trono troppo basso non udii ciò che dicessero; udii soltanto nell’anima commossa un eroico silenzio, che certo solo gli angioli comprendono. Parlaron gli orizzonti, le luci lontane della notte, le praterie sconfinate, le piante ristorate dalla rugiada, le case della immensa città dormente, su la quale, torbidi, insoddisfatti, amari aleggiano i sogni degli uomini, i tetti, i comignoli... Ahi! Mi parve d’essermi risvegliato da un sogno troppo vasto e come un fiore sotto la rugiada la mia anima si raccolse. Non più terse immensità stellate: il mio senso interpretativo si protese verso le finestrelle fuliginose di cento comignoli. Per essi il mio trono non era nè troppo alto, nè troppo basso: ad essi io fui, forse, in quel momento simile. • •

Uno disse: Ogni sera sotto la mia cappa un pensatore brontola non so quali saggezze, io le sento salir per la mia gola col fumo della polenta. Ogni sera il gatto del filosofo, che ama più della sua casa i tetti, si ferma accanto a me; annusa il fumo della polenta e delle sagezze e se ne va scontento. Della polenta? Delle saggezze. Un comignoletto di terracotta rossa, pulito e ci

vettuolo aveva interloquito con una vocetta maligna. Ecco dunque — pensai — un gatto — il più filosofo degli animali domestici — e un filosofo -il più domestico degli animali selvaggi — discordi tra loro. Perché? Se il tuo filosofo — riprese il comignoletto rosso e civettuolo -- vivesse come vive il tuo gatto e come viviamo noi sopra i tetti delle case, sotto la cappa del cielo, si persuaderebbe che l’odore della. polenta è sgradevole anche se condita con le più elette saggezze. Si capisce che hai a che fare con una cantante. Io invece penso che se vivesse quassù guarirebbe del suo male di cervello, non per gli odori che salgono dalle case degli uomini, ma pei profumi che scendono dal cielo. Tu parli come un poeta di trent’anni fa, ma io penso che non guarirebbe. Vedi? In quell’abbaino abita un sognatore. Lo credi sano, tu? Io no. Domandiamolo un po’ al suo comignolo. Si parlava di me. Attesi con curiosità ed anche;:on un po’ di timore le parole del mio fumaiolo. Ma taceva. Finalmente gli altri lo interrogarono più vivamente. — O tu, non parli? Ho la gola secca... E poi, che volete che vi dica? Non cuoce mai nulla... Verità sacrosanta. - Te lo dicevo io? Tutti pazzi gli uomini, tutti pazzi. Tu sei ingenuo perché il tuo filosofo è vegetariano, ma se sapessi di quali imbrogli vivono, gli uomini! — Vivono?... Muoiono!... Chi non ha sentito queste due parole pronunciate nella profondità della notte da una voce sepolcrale e ròca, lentamente, ferocemente, non può comprendere il brivido di morte che percosse ogni mia Fibra in quell’istante. Mi parvero quelle due parole, due sordi rintocchi’ di campana; due tonfi di pietre in uno stagno fetido. L’umanità è avvelenatal... Non era molto divertente. Ma col terrore, era nata in me la curiosità di sapere donde mai venisse quella voce lugubre, chi fosse mai quel tristo che per lei parlava. E come se tra me e i comignoli, anche invisibili come quello, si fosse già stabilita una misteriosa intelligenza, la stessa voce mi rispose: «Grand Hòtel Italien». E la brezza notturna portò fino al mio volto una nube di fumo denso e bianco simile a quello dell’odioso forno crematorio. Ouando parla colui — disse il leggiadro comignolo di terracotta rossa — mi sento tutto rabbrividire come se un triste presagio mi premesse la gola e guardo- sottecchi il cielo col timore di vederlo annerire dal ciclone o arrossato dal terremoto. Di D esce tutto il fumo denso dell’opulenza mondana. che si adagia beata senz’altri ideali fuori dei buoni piatti. (Continua).