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Anno XIII. 25 Aprile 1914. Num. 17.


Giornale settimanale per le famiglie

IL BUON CUORE

Organo della SOCIETÀ AMICI DEL BENE

Bollettino dell’Associazione Nazionale per la difesa della fanciullezza abbandonata della Provvidenza Materna, della Provvidenza Baliatica e dell'Opera Pia Catena

E il tesor negato al fasto
Di superbe imbandigioni

Scorra amico all’umil tetto .....

ManzoniLa Risurrezione.

SI PUBBLICA A FAVORE DEI BENEFICATI della Società Amici del bene e dell'Asilo Convitto Infantile dei Ciechi
La nostra carità dev’essere un continuo beneficare, un beneficar tutti senza limite e senza eccezione.
RosminiOpere spirit., pag. 191.

Direzione ed Amministrazione presso la Tipografia Editrice L. F. COGLIATI, Corso Porta Romana, N. 17.




SOMMARIO:


Educazione ed Istruzione. —L. Veuillot, Roma, l’Italia. — Scene della vita operaia.
Religione. —Vangelo della Seconda Domenica dopo Pasqua. El Progress e i fior (Poesia). — Pro Asilo Luigi Vitali.
Beneficenza. —La Società Lombarda «Pro Ciechi». — Per l’Asilo Convitto Luigi Vitali pei bambini ciechi. — Per la Provvidenza Materna. — Per la Pensione Benefica. — Opera Pia Catena.
Notiziario. —Necrologio settimanale. — Diario.

Educazione ed Istruzione


L. Veuillot, Roma, l’Italia


Luigi Veuillot è uno dei pochissimi stranieri — unico forse — che conobbe la passione di Roma: se il Goethe, il quale ebbe a confessare di «aver compreso solo a Roma, che cosa è un uomo» è l’assertore di una squisita romanità superba, il Veuillot è il testimone appassionato, il testimone vivente, è il segnato, è il «martire» di Roma.

Nello spirito apollineo di Wolfango Goethe l’evocazione di Roma è l’acuto rimpianto di un ricordo di dolore: «la felicità che trovai a Roma non l’ho più rinvenuta altrove; anzi quando ripenso al mio soggiorno romano, debbo dire che l’ho perduta per sempre».

Luigi Veuillot invece, porta con sè lungi dalla città prediletta il dono inestimabile della presenza interiore: egli la possiede Roma, nella sua anima e nel suo cuore, perchè tutta la sua anima e tutto il suo cuore hanno vibrato, hanno palpitato, appassionatamente, a Roma.

Egli non possiede, è vero l’acuta capacità visiva dello Stendhal, non conosce le sotgli sensibilità dell’esteta e del dilettante: egli è un uomo intiero nella Più umana, nella più sana e robusta eccezione del termine: il suo respiro è tutto una letizia di sanità fisica e morale. Il Sanit-Beuve l’ha profilato, esattamente, così; un’anima robusta di popolano non

comune di padre in figlio nelle polite eleganze dei saloni, un’intelligenza rapida ed assoluta non fiaccata dalla critica, non astretta a sistemi, di una sensenbilità profonda e di un grande bisogno di tenerezza.

Luigi Veuillot la vede così, Roma: e così l’ama così la sente così la vive: possentemente e totalmente. Se egli fosse venuto a Roma possedendo il dono della fede, egli certo, averebbe raccolto una sensazione meravigliosa di rinnovamento e di energia: come già Federigo Ozanam egli averbbe adempiuto a Roma alla suprema legge dell’anima, oportoret renasci.

A Roma, invece, egli venne scettico, sensibilmente volterriano, prevalentemente indifferente: «Credevo di andare a Costantinopoli; andavo più lontano, invece: a Roma, al battesimo».

E fu preso, fu vinto, fu posseduto: egli non portava nulla, se non l’anima aperta e lieta; non portava neanche il facile oblio di una infanzia, di un’adolescenza fervida di fede: nato ed educato nell’età tipica di quell’indifferentismo che amò flagellare l’abate Lamennais, cresciuto in mezzo ad uomini che avevano visto i giorni del Terrore e della rinascita e che quasi sgomenti dalla tragica vicenda sì rapida parevano incapaci non che d’odio anche di amore, egli era stato affidato alle cure di un maestro laico che alternava agli entusiasmi della bettola le meditate prudenze di un certo insegnamento catechistico che, in omaggio alle leggi della restaurazione, concedeva agli alunni nei giorni festivi, un massimo... minimo di dottrinella addomesticata.

Quado il 15 marzo 1838 il giovine straniero che andava sperimentando i suoi magnifici talenti di scrittore e di polemista nell’esercizio del piccolo giornalismo di provincia, entrava in Roma, in sul crepuscolo, per la porta Cavalleggeri, non alimentava nel suo spirito nè timori, nè impazienze, nè suggestioni di memorie appena sopite: passava, semplicemente, per Roma, diretto, com’era, a Costantinopoli.

La malìa di Roma lo sorprese e lo incolse senza saggezza d’indugi, d’un colpo solo, rapido improvviso vitorioso. La sera stessa dell’arrivo un amicio diletto che nel