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Ciò che rimane della prigionia di Pio VII.

LA LEGGE DELLE GUARENTIGIE.

Questa legge che dai liberali è frequentemente chiamata «monumento di sapienza italiana» non ha origini italiane, ma franeesi: non sorse, come i più dicono, dalla mente di Cavour, ma da quella di Napoleone; il quale era bensì nato di sangue nostro e in terra nostra, ma di fronte a Pio VII agì per l’Impero francese ed a questo, non al regno italico, annesse gli Stati romani. Certo, il concetto da cui mosse Napoleone nell’inventare le sue guarentigie fu diverso da quello con cui i liberali italiani ne copiarono più tardi le principali disposizioni. Napoleone non si disinteressava degli atti della Santa Sede; dava anzi loro il massimo peso "anche quando ostentava di disprezzarli. Gran parte delle sue violenze contro Pio VII nacquero appunto dal pretendere che questi fossero fatti a modo suo. Quindi nelle guarentigie da lui escogitate non ci poteva essere quella parte che nelle italiane intese stabilire fino ad un certo punto l’indifferenza dello Stato verso gli uffici spirituali del Papa, e quindi promise ad essi una tal quale libertà di movimento all’interno. Dal lato quindi delle relazioni fra la Chiesa e lo Stato la legislazione napoleonica e quella italiana non potevano rassomigliarsi. La prima esagerava le antiche restrizioni giurisdizionaliste; la seconda applicava in qualche misura i metodi separatisti. Ma nella parte principale, nella posizione fatta al Sommo Pontefice per cercare di compensarlo delle prerogative assicurategli un tempo dal potere temporale, la legge italiana è strettamente pedissequa delle disposizioni stabilite da Napoleone. Esaminiamo la cosa punto per punto. L’art. 3. della Legge italiana dice: «Il Governo italiano rende al Sommo Pontefice, nel territorio del Regno, gli onori, sovrani». Ora le istruzioni mandate nel 1809 dal gabinetto imperiale al principe Borghese governatore del Piemonte da questo trasmesse al prefetto del dipartimento di Montenotte, sotto la cui giurisdizione era Savona, ossia la città ove Pio VII era stato pur allora relegato, dicevano all’art. 4.o — e notate che si trattava del papa in istato di relegazione: — «Comparendo Sua Santità, sia in pubblico, sia in privato, la truppa dovrà rendergli gli onori come a sovrano». Le guarentigie italiane agli articoli 4.o e 5.o assegnano alla Santa Sede una dotazione di 3.225.000 lire, esentandola da imposta, e conferiscono al Papa il godimento dei palazzi «Vaticano» e «Lateranense» e della " Villa di Castel Gandolfo». Anche di ciò l’origine è napoleonica. Fin dal 7 maggio 1809 l’imperatore, proclamando dal campo di Vienna l’annessione di Roma all’Impero decretava all’art. 5: «La rendita del Papa sarà di due milioni, liberi da ogni imposizione». Questo assegno era ripetuto all’art. 16 del Senato-Consulto 17 febbraio 1810; veniva confermata nelle istruzione date il 25 aprile 1811 da Napoleone ai tre Vescovi che egli inviava a Savona da Pio VII per trattare d’un nuovo Concordato. Era anzi accresciuto di altri quattro milioni annui per le spese della Corte,

nel nuovo progetto fatto presentare al Papa in Fontainebleau per mezzo del Vescovo Duvoisin; ma di questi ultimi non si tenne calcolo in quella bozza di concordato che parimenti in Fontainebleau Pio VII per momentanea debolezza firmò il 19 gennaio 1813 e subito ritrattò. In esso le disposizioni intorno alla dote presero la forma seguente: «III. — I dominii, o beni stabili, che il Santo Padre possedeva e che non sono alienati, saranno esenti da ogni specie di imposizione. Saranno amministrati dai suoi agenti, o incaricati d’affari. Quelli che si trovassero alienati, saranno rimpiazzati fino alla somma di due milioni di franchi di rendita». Quanto ai palazzi, finchè Napoleone non trascinò il Papa fuori di Roma o quando pensò di farvelo un giorno ritornare, pure spoglio della sovranità temporale, i suoi decreti e le sue istruzioni dànno come presupposto il godimento dei palazzi e ville pontificie. Quando poi credette, o ne fece finta che il Papa si sarebbe rassegnato a risiedere in Avignone, le istruzioni del Duvoisin sulla dimora pontificia furono le seguenti: «2.o — S. M. l’imperatore e Re dona un palazzo del valore di 100 mila scudi a S. Santità. Tutte le manutenzioni necessarie saranno fatte a spese del goveno.... «3.o — S. M. l’Imperatore farà trasportare a sue spese in Avignone gli archivi della Dateria romana già esistenti in Francia, Penitenziaria, Cancelleria, ecc.». La legge italiana agli art. 7 e 8. dice: " Nessun ufficiale della pubblica autorità od agente della forza pubblica può, per esercitare atti del proprio ufficio, introdursi nei palazzi e luoghi di abituale residenza o temporaria dimora del Sommo Pontefice»... «E’ vietato di procedere a visite, perquisizioni o sequestri di carte, documenti, libri o registri negli Uffizi e Congregazioni pontificie rivestiti di attribuzioni meramente spirituali». Queste stesse disposizioni si leggono nel decreto d’annessione del 1809 all’articolo 6: "Le proprietà e palagi del S. Padre non saranno sottomessi a veruna.... giurisdizione e visita, e godranno d’immunità speciali». La legge italiana all’art. 11 stabilisce: «Gli inviati dei governi esteri presso Sua Santità godono nel regno di tutte le prerogative ed immunità che spettano agli agenti diplomatici secondo il diritto internazionale... Agli inviati di Sua Santità presso i Governi esteri, sono assicurate, nel territorio del regno, le prerogative ed imnuinità d’uso, secondo lo stesso diritto, nel recarsi al luogo di loro missione e nel ritornare». Anche questa norma è presa da precedenti napoleonici. Le istruzioni del 1811 dicono: «La potenze saranno libere di mantenere presso di lui incaricati o residenti, ornati di quelle immunità che sono acconsentite dal diritto pubblico agli agenti diplomati». In quelle del 1813 si dice: «Il Papa manderà alle Corti cattoliche i suoi Nunzi e ne riceverà rispettivamente i ministri». Finalmente nella bozza di concordato all’art. 2 si legge: «Gli ambasciatori, ministri, incaricati •d’affari delle Potenze presso il Santo Padre, e gli ambasciatori, ministri e incaricati d’affari che il Papa potesse avere presso le Potenze estere, godranno delle immunità e privilegi dei quali godono i membri del corpo diplomatico».