Pagina:Il buon cuore - Anno XIII, n. 26 - 27 giugno 1914.pdf/5

Da Wikisource.

gica. I berberi ed i turchi, che su Apollonia hanno edificate le loro miserabili dimore, non hanno osato toccare Cirene. Per chilometri e chilometri gli ultimi ruderi della vatusta civiltà si stendono senza che ad essi si rtovino frammiste le luride tende beduine o le caratteristiche costruzioni orientali. Sono archi, colonne, tombe, capitelli, muri diroccati; è tutta una storia che anima quelle pietre immote, rimaste intatte come un monito severo ed incancellabile. E cosi rimarranno. Cirene non risorgerà più sulla collina verdeggiante. Quand’anche i nuovi conquistatori riuscissero a rendere prosperoso il suolo libico, quand’anche dovessero trasfondere un vibrante soffio di vita con il commercio fecondo di produzioni e ricchezze. Cirene non può più ritornare allo splendore di un giorno. Altre località le hanno strappato anche per l’avvenire quel primato che ella aveva imposto: si ingrandiranno Bengasi e Derna, città costiere che già hanno la loro importanza; diventerà più produttiva Tobruk, favorita da un comodo porto naturale dalla vicinanza del confine egiziano; ci torneranno sommamente utili Merg e Giarabub, oggi già noti come notevoli centri di linee carovaniere; se anche ciò si tentasse non tarderebbe ad apparire tutta la meschinità del tentativo. Io non posso •concepire una Cirene come una qualsiasi delle tante località berbere che le truppe italiane hanno occupato. Meglio assai che fra misteriose tombe scoperchiate venga ad aggirarsi solo qualche professore di archeologia; è una preda ricca che non sfuggirà loro: ma sopratutto che sopra gli imponenti palazzi di secoli lontani non sorgano le poche e modeste nostre case coloniali: che minareti e chiese non turbino i vetusti templi pagani dell’impero romano o quelli cristiani dell’epoca bizantina; che Cirene, la popolosa e ricca città lei passato, la città di due Imperi, non diventi la quieta Cittadina dell’avvenire. Sarebbe un sacrificio inutile. L’impronta che non s’è cancellata e non si cancellerà nei secoli rimarrà sola ad indicare quanto possa la virtù colonizzatrice di un popolo. E’ quella l’impronta lasciata da una mano che non conosceva ostacoli; di fronte a dessa ci si scopre e si prosegue più sicuri e più risoluti. CARLO RAVA.


Religione

Domenica 4a dopo Pentecoste

Testo del Vangelo.

In quel tempo disse il Signore Gesù ai Farisei: un certo uomo il quale si vestiva di porpora e di bisso, faceva ogni giorno sontuosi banchetti; ed eravi un. certo mendico, che per nome Lazzaro, il quale pieno di piaghe, giaceva alla porta di lui, bramoso di satollarsi de’ minuzzoli che cedevano dalla mensa del ricco, e niuno gliene dava, ma i cani andavano a leccargli le sue piaghe. Ora avvenne che il mendico morì, e fu portato dagli an

gioli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco, e fu sepolto nell’inferno. E alzando gli occhi suoi, essendo nei tormenti, vide da lungi Abramo, e Lazzaro nel suo seno, esclamò e disse: Padre Abramo, abbi misericordia di me, e manda Lazzaro, che intinga la punta del suo dito nell’acqua per rinfrescare la mia lingua imperocchè io sono tormentato in questa fiamma. E Abramo gli disse: Figliuolo, ricordati che tu hai ricevuto del bene nella tua vita, e Lazzaro similmente del male: adesso egli è consolato, e tu sei tormentato. E oltre tutto questo, un grande abisso è posto tra noi e voi; onde tragittar fin quà. Egli gli disse: Io ti prego dunque, o padre che tu lo mandi a casa di mio padre, imperocchè io ho cinque fratelli, perchè gli avverta di questo, acciocchè non vengano anch’essi in questo luogo di tormenti. E Abramo gli disse: Eglino hanno Mosè e i profeti; ascoltino quelli. Ma disse egli: No, padre Abramo, ma se alcuno morto anderà da essi,. faranno penitenza. Ed egli gli disse: se non odono Mosè e i profeti, nemmeno se risuscitasse uno da morte non crederanno. S. LUCA, cap. i6. Pensieri. Leggiamolo di nuovo, quanto è scritto più sopra, a persuaderci d’una cosa. Dov’è la colpa del ricco signore per meritare un si grave castigo? Se Dio ha condannato per reo deve la condanna basarsi sul fatto colposo, ma è forse colpa l’industriarsi per un più lauto guadagno, per un maggior sfruttamento e rendita dei propri• terreni, per assicurarci una più lieta e — diciamolo pure — più sicura vita in età più tarda, più avanzata. Forse la colpa, se qui sopra non esiste, può darsi si trovi nelle parole con cui il ricco esprime la propria cura nell’assicurare contro le intemperie, i ladri, etc. quella provvidenza, che le sue terre gli avevano portato: forse — e qui più specialmente — si può trovare nell’invito che il ricco fa all’anima propria di non più crucciarsi per il futuro: nell’invito a mangiare e bere e darsi allo spasso innanzi a quella fortuna, che gli garantiva il sufficiente ed il superfluo: ma, amici miei, chi non vuol rallegrarsi innanzi ad una fortuna come quella del ricco evangelico; innanzi ad una fortuna onestamente faticata e raccolta? e chi mai non dovrebbe rallegrarsi di aver risolto l’increscioso problema della invalidità della vecchiaia col vedersi assicurato per molti anni la vita? Non è forse questa la ragione della gioia di quel signore? Disse fate male? Perchè Gesù lo dice stolto? non il ricco — Come ci giudicheremmo noi, se, ma noi fossimo al suo posto, nelle sue condizioni? Quello, che nel Vangelo Cristo disse stoltezza, nel nostro caso, per noi non la chiameremmo invece coi santi nomi di oculatezza, previdenza, prudenza?!..... • •

A mio modo di vedere qui non è la colpa, che gli deriva la cattiva parola di Gesù. No. Può darsi che Gesù lo colpisca perchè il ricco troppo si preoccupa del mezzo della vita e detrimento del fine per il quale noi