Pagina:Il buon cuore - Anno XIII, n. 28 - 18 luglio 1914.pdf/3

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il giuoco; in complesso sono un popolo unico sulla faccia della terra e possono esser ben chiamati i filosofi del nord. Con questo benevolo giudizio del comandante Peary. Arnaldo Faustini chiude il suo interessantissimo libro sugli usi e i costumi eschimesi (Torino, Bocca. 1913) libro giunto verameute un po’ in ritardo, quando l’attenzione generale si è quasi distaccata dai piccoli uomini tranquilli, laboriosi e fedeli che guidarono le ultime spedizioni polari, ma, non per questo, libro meno utile e meno dilettevole per chi coltiva gli studi demografici. La voce eschimese deriva con molta probabilità da quella francese esquimau, lata dal missionario gesuita Lafiteau (J. F.) nel 1724 e come traduzione della parola indiana «abenaquisci» eskimantsik, che significa mangiar carne cruda. Secondo l’H;nd (1863) questo nome deriverebbe dalle parole degli indiani: Cree ascki, crudo, e mow, mangiare. Il Nourse fa derivarlo da una radice significante stregone nel linguaggio ielle tribù nordiche canadiane. Gli eschimesi, in genere, usano chiamarsi fra di loro innuit (uomini) e si designano anche con il nome di Karalit, mentre l’europeo vien chiamato Kabunak (coronati). La maggior parte degli scienziati ritengono che l’eschimese rappresenti l’ultimo anello della razza mongolica (Hiperboream Mongolicae), emigrata, a volta a volta, dalle estreme coste siberiane, dalle isole aleutine, dall’Alaska e, via via, fino a toccare le spiagge dell’odierna Groenlandia attraverso gli stretti e i canali dell’arcipelago artico americano e di Smith. E’ questa, fra le tante, l’opinione più verosimile e meglio documentata. I Groenlandesi stessi si dicono discendenti da un lontano popolo abitatore di una ricchissima contrada situata molto più a nord (a nord-ovest), e cioè oltre gli attuali confini che segnano l’estremo diritto di giurisdizione del governo danese. L’esodo eschimese, dopo aver avuto principio sulle coste dell’estrema Asia nordorientale, ripartivasi in tre correnti: la prima e la principale, che seguì la zona media dell’arcipelago artico americano; la seconda e la terza (correnti secondarie) che seguivano, rispettivamente, e sempre da ovest a est, il litorale del nord-America per discendere sulle coste del Labrador, e la parte superiore lel suddetto arcipelago. Il oolor della pelle è negli eschimesi generalmente olivastro; talvolta di un bruno chiaro, tal’altra grigio; il Petitot, a riguardo degli eschimesi dell’Alaska dice che sono di color caffè al latte. Secondo Saabyee, i fanciulli eschimesi al loro nascere sono bianchi al pari degli europei, ed hanno ai lombi una macchia azzurrognola, ohe a poco a poco si estende per tutto il corpo, cagionando cesì il colorito oscuro. Gli occhi hanno bruni ed un po’ obliqui, scuri i capelli, rada la barba e i baffi; la faccia è rotonda, il naso or piccolo or grande (secondo le tribù), la statura bassa, (m. 1.58 circa per l’uomo, 1.53 per la donna), con variazioni da tribù a tribù. La fecondità delle loro donne è scarsa, benchè

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non conoscano malattie costituzionali, ignorino quasi l’alcoolismo ed il tabacco, tuttavia la tisi, il vaiuolo ed altri morbi, forse importati da europei, sterminano intere tribù e in generale a 50 anni ogni eschimese si incurva orribilmente e molto di rado giunge al 70.°. L’eschimese in generale, non è molto intelligente, ma è dotato, in contraccambio, di una larga dose di senso pratico. Il suo spirito, infantile, è curioso ed avido di istruzione. Non è difficile avvicinarlo; al secondo giorno la sua timidezza è sparita, soltanto che gli si dimostri cortesia. Lo spirito di vendetta gli è totalmente sconosciuto; non comprende però affatto la riconoscenza, forse perchè ogni bottino è diviso in comune. I fanciulli nutrono un immenso rispetto per i loro genitori; gli uomini professano venerazione per gli antenati e non prendono alcuna decisione importante senza aver prima chiesto consiglio alle loro donne, con le quali non hanno mai discordie. Sono perseveranti nelle occupazioni; tenaci nelle idee; poveri in tutto, salvo in genialità, curiosità e spirito di imitazione. Sono fedeli, e lo dimostrano i molteplici accompagnatori di esploratori; affettuosi, devoti, coraggiosissimi. L’organo vocale eschimese maschio è, in generale, singolarmente grave e sonoro, mentre quello della donna è spento, stridente.

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L’eschimese vive in villaggi; piccoli nuclei composti per lo più di dieci o dodici abitazioni; situati in generale presso le rive del mare, dal quale traggono, sì di estate che d’inverno, le prime, le più abbondanti e le più necessarie ’provviste alimentari, e disposti in una sola linea, a semicircolo, presentante la convessità dal lato del vento più forte o dominante. Le abitazioni si distinguono in due grandi cotegorie: abitazione invernale, ed abitazione estiva. La costruzione di una casa invernale o igloo, per un abile eschimese, non occupa più di una ventina di minuti. Quando i blocchi sono stati sovrapposti l’uno all’altro, si chiudono le connessure con sottilissima polvere di neve e vi si getta dell’acqua fredda che, congelandosi istantaneamente, forma un tutto solido e saldo ad ogni prova. L’apertura della finestra è fatta per ultimo, ed è chiusa da una sottile membrana d’intestini di foca e di renna cuciti insieme, o da una semplice lastra di ghiaccio. Grazie alla fiamma delle lampade ed agli effluvi caldi che emanano i corpi nudi degli eschimesi, la igloo si riscalda in meno di dieci minuti e la temperatura si eleva a mano a mano, sino a 18 gradi e talvolta sino a 30 centigradi, il che è sufficiente, non solo a sopportare il freddo, ma per mantenere in istato liquido l’olio da bere e quello da bruciare. L’unico, se non if più notevole inconvenihnte che si abbia a soffrire in un tal genere di casa è lo stillicido.(kudukt) causato, si comprende bene, dall’aumento della temperatura; stillicidio però, che viene arrestato, almeno per qualche tempo, con un sistema tanto semplice per quanto pratico, è che offre una nuova prova della sagacità e dello