Pagina:Il buon cuore - Anno XIII, n. 36 - 7 novembre 1914.pdf/4

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in tempi molto remoti, la storia creava davvero uno di quei fatti che la leggenda moltiplicava fantasticamente; e un povero diavolo purché prode soldato, e una donna purchè bella, potevano giungere anche al trono. Oggi tutto al più, un assiduo lavoratore, nascendo in America, può diventare re.del (dardo» o del ((carbone»: ma ciò non è punto poetico e leggiadro a raccontare. In Europa, invece, ove si accoglié il maggior numero di re, accade di tanto in tanto, che si crei qualche sovranità nuova, sovranità che per non essere consacrata da una vecchia tradizione, la quale fa gravare sul regale manto il peso dei secoli, ha quasi infallantemente la fragilità e la leggiadria fantasiosa dei troni di leggenda. Non è infatti una bella favola quella di Giuseppina di Beauharnais, la giovane creola, cui una zingara, guardandole la mano, predice l’impero? (( Tu sarai regina, ma dovrai fare un grande viaggio per cingere la tua corona». E la vaticinata fanciulla, che appunto sta per abbandonare la nativa isola della Martinica, sorride al folle presagio, e quasi lo dimentica attraverso le vicende della sua vita in Francia. Sposa un ufficiale valoroso che la lascia vedova, ne sposa un altro che si chiama Napoleone Bonaparte. Giuseppina viene così di un tratto assunta in una luce di fasto e di gloria che pochi novellatori avrebbero saputo immaginare. Senonchè la fine della fiaba è triste, chè alla sovranità improvvisa manca una ragione storica, quella cui i nostri antichi davano carattere sacro e sovente pericolosa. I nostri tempi come dicevamo poc’anzi, possono tutto al più tentare di ordire le fiabe belle, ma raramente le sanno condurre a compimento. Un’altra leggenda poetica e maliosa, un altro fantastico sogno regale sorride un girno intorno al turrito castello di Miramar. La sovranità attendeva oltre Oceano i due giovani sposi del solingo castello. Ed essi andarono ed approdarono fra nembi di fiori e fra clamori di gioia. Le feste avevano tessuto per il biondo capo -della donna avventurosa, nascostamente inaspettatamente il serto di regina; gli uomini ve lo premettero su così forte da suggerne • il cervello. Ed ora, pur sperando, desiderando, che la densa nuvola minacciosa si dissolva, e che i sovrani di Albania possano tornare sereni étranquilli al trono chè non avevano sognato, io penso malinconicamente alla Principessa di Wied. Chi nel tranquillo solitario castello andò, a parlarle di regalità? Ella era già sposa e madre felice, e non aveva mai pensato ad un trono. Ed ecco come in un sogna, fantastico vengono a dirle ch’Ella deve entrare nelle brave famiglie dei sovrani di Europa; che l’aspetta una corona; che i suoi figliuoli saranno sovrani. ’Che poteva o sapeva comprendere lei dalla sua tranquilla dimora, dei secolari spiriti turbolenti del paese che le offrivano il diadema regale? Certo qualche cosa di più ne sapeva suo marito che esitava, mentre ella confidava attratta, •come sarebbe stata, ogni donna,) da quella fantastica luce avventurosa in cui le appariva il nuo vo sogno,.balenante tra le brume fredde’ dell’antico maniero. La sorte sceglieva lei,quasi ignorata finora, per farla regina; come non ubbidire all’iterato richiamo? — Io amerò i miei sudditi maternamente — ella pensava-- ed essi dovranno volermi bene. L’Europa intiera ci sostiene poichè lo ha promesso, e la civiltà deve pur vincere la pervicacia e la barbarie del popolo che sarà mio. E mentre lei si preparava alla nuova missione, persone più Sagge e più gravi persuadevano il futuro re. Così la giovane coppia andò nella terra degli eterni rancori. E qui subito, l’ignoto il pericolo si parò loro dinanzi. La regina ha fatto di tutto per attuare il suo programma nobilissimo di donna moderna colta ed attiva. Ha visitato ospedali, scuole; ha detto parole gentili e di materna pietà. Nel momento del pericolo — così ha scritto il nostro corrispondente — ha saputo conservare il sangue freddo; ha subito compreso quale contegno assumere per il suo nuovissimo grado. E benché grave fosse la mnaccia incombente su lei, come sul re, ha cercato sino dove ha potuto essere utile agli altri. Ella volle recarsi alla scuola italiana trasformata in ospedaletto da campo per visitare i nazionalisti feriti; per esprimere la sua gratitudine e la sua commozione. Interrogò, consolò, esortò. Offrì aranci, cognac, acque minerali, tutto ciò di che poteva disporre. Nel momento in cui la sua non chiesta regalità era più minacciata, ella seppe, con quell’intuito e quella nobiltà propria delle più nobili anime femminili, essere più regina. Eppure Maria di Wied era stata ed è ancora una buona massaia nel senso tedesco, che è quanto dire perfetto della parola. Qualcuno ha osservato che in certi momenti difficili essa è meno sgomenta dello stesso sovrano, forse perchè non consapevole del periglioso groviglio e delle vere condizioni dell’interno dell’Albania. Ma forse per questo già sovra il suo gentile capo, di donna si fanno cadere molte responsabilità. Poiché il re si confida e con lei, ggni atto impolitico viene attribuito a lei, a lei che ignora, che non può ignorare tante oscure trame, tante insidiose vicende e che solo sa, come un giorno dal suo castello, ella sia stata chiamata per essere regina, e che perciò ha tutte le ragioni di credere che chi le ha offerto il dono, sappia conservarglielo. Ma la vecchia Europa è così. Fabbrica ancor:’ qualche bell’avvenimento degno di un bel raccorn ) di fate, ma poi non sa, o non facilmente • si sobbarca alla fatica di disponerne tutto il filo sottile. Molti dovranno fare da sè i giovani sovrani di nuovissima data. E quando gli eventi avranno dissipato i terrori e le tristezze di questo tragico periodo, il trono non apparrà più ad essi un regalo fantastico. ma qualche cosa di faticosamente conquistato. Il regno venuto improvviso come in una fiaba non avrà più il pittoresco e fantastico aspetto con che sor