Pagina:Il buon cuore - Anno XIII, n. 36 - 7 novembre 1914.pdf/7

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Non tutti, però, poterono sapere. nè — per quanto di Lei, da vari già sia stato egregiamente detto, e dire si possa — saprebbero immaginare, di quali assistenze eroiche essa sia stata, capace, e, insieme, di quali magnanimi oblii di uttte le amarezze.e di tutti i disinganni che l’esercizio del bene può — insieme ai massimi conforti — procurare da parte di questa povera umanità.... Giuseppina Malfatti era una personificazione dell’altruismo, portato fino alla completa rinuncia di sè. Non solo dal suo esteriore aveva escluso pur l’ombra di quanto possa essere o adornamento o segno di signorilità, ma dell’agiatezza domestica aveva voluto per sè la minor parte possibile, fino a crearsi, nel palazzo avito, una specie di cella. E lo spirito francescano essa esplicava non solo con la povertà volontaria e la carità: ma altresì con quella letizia e quell’amore del bello che di letizia e di bellezza fece creatrice instancabile. — Ne seppe la cara gioventù che le crebbe intorno, e ne seppero gli innumerevoli altri, coi quali era prodiga di quanto negava a sè stessa. E nell’opera cui dedicò, oltre alle varie altre provvide iniziative — gran parte dell’ultimo periodo della sua vita — quella del lavoro trentino — essa riuniva il culto del bello all’amore della patria terra e all’assiduo,pensiero di un’arte cui educare e avviare le donne del nostro popolo. *e per essa, e ’mediante essa, Giuseppina Malfatti aveva stabilito, fra varie città del Regno e queste nostre valli, una rete di rapporti fraterni. Volente, essa aveva, fin dalla giovinezza, rinunciato a quanto costituisce l’a?pirazione massima della generalità delle fanciulle, per dedicarsi, libera e devota, alla famiglia paterna e all’altra, più grande, famiglia che ci crea la fraternità umana. E andò poi sempre più — per dedicarsi tutta alle opere pratiche — rinunciando anche a quanto le era stato fra le principali fonti di conforto e di considerazione altrui: l’intellettualità, cui era giunta per l’ingegno eletto e versatile e la varia cultura. — Rammento come le lettere di Beppina Malfatti siero sempre state per me una festa dello spirito. Sì che solevO rimproverarla di trascurare il più vasto campo d’apostolato che le avrebbe offerto la stampa. E ora — cori quella commozione profonda che che dà ogni cara voce che par venire dal di là, le ho rilette, le belle, le buone, le vecchie lettere. E tutto un lungo e ormai lontano passato, m’è parso rivivere traverso quelle pagine nelle quali l’anima ele‘vata e il cuore inesauribile di ’ Lei si rispecchiavano insieme e l’ambiente che la Circonda’va, popolato di nobili figure, ora in’gran parte Congiunti amatissimi, suoi e miei, amici venerati della nostra giovinezza — sacerdoti e cittadini tempratisi tra le fortunose vicende della Chiesa e della patria, — gli autori nostri prediletti; e, insieme, tutto l’umile mondo degli oscuri,.dei poveri, dei piccoli, ch’erano la sua cura; e il gaio stuolo di nipoti, ai quali, dal giorno in cui nascevano, era scomparse.

rivolto, maternamente trepido e gioioso, il pensiero di lei; e, costante, il riflesso della semplicità con la quale essa, che sapevo essere, ed era sopratutto Maria, si faceva, Marta, solerte quanto serena. Ritrovo pure, nelle sue lettere, tutta l’esuberanza di cuore con la quale essa partecipava ai dolori e alle gioie, alle iniziative e alle speranze non sue; e lo zelo inesauribile per aiutare, anche nelle più umili forme; e quella meravigliosa memoria — sempre feconda di pensieri gentili — che essa aveva di ogni, ricorrenza, di ogni data sacra al cuore degli, amici. E nelle più semplici pagine di cronaca, come nelle più ricche di ’pensiero, nella considerazione di ogni più comune, come d’ogni più alta cosa, quanta luce... Luce serena, fatta di quell’antica fede, profonda e tetragona nella libertà interiore, così diversa ’dalle grette ’complicazioni’ superficiali cui è ridotta la decadente, paganeggiante e servile religiosità d’oggi. Luce che spesso aveva un riverbero dell’al di là. In una lettera fra le più vecchie, essa diceva: «Quante vicende e quanti mutamenti.... Ma rimangono la fede, la speranza nel bene, il desiderio dell’opera — Mondo.spirittiale che mi par sempre l’inizio, dell’eternità». nel 1899: «Io invecchio molto serenamente, e guardo là ove avrà spiegazione ciò che qui non intendiamo..‘ Dio, la Carità,.la mèta raggiunta, i cari da rivedere, gli altri da attendere ’più tardi: «La vita fugge, e non v’è tempo da perdere.... I pensieri si sollevano senza sforzo in su, in alto, e fra le attrattive di questo mondo che passa, sognano quelle dell’altro, che rimane». ora, il. sogno è avverato: Ai mesti che la piangono e sanno, il conforto di ’pensarla nella luce lungamente attesa, e, dopo la laboriosa giornata, nella pace che sempre più sembra fuggire da questa terra dolorosa.

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Il ((Letture della Domenica», periodico che le Conferenze di San Vincenzo da sette anni distribuivano alle famiglie da loro soccorse,, cessa le sue pubblicazioni, vittima anch’esso della penuria dei tempi che corrono. Ma, come i fiori che, scossi dalla brezza, lasciano cadere, qui, là, la semente che il vento e gli uccelli spargeranno e darà poi foglie, fiori, frutti, qui, là, anche il ’«Letture della Domenica» diffonda, nel morire, la sua semente. Dica, cioè, a quanti l’amarono e lo sognarono bello, buono, a quanti oggi rimpiangono la manifestazione di sana energia e il voto di bene ch’esso, non foss’altro, rappresentava; dica: «Il bene non muore mai; lavoratori del bene, non muoia no il vostro entusiasmo, la vostra buona volontà; continuate, sotto altro nome, sotto altra forma, l’opera vostra per le anime. Ottobre, 1914.