Pagina:Il buon cuore - Anno XIII, n. 38 - 21 novembre 1914.pdf/2

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una freschezza d’erba appena nata, odore di rugiada raccoglientesi a sera sui bocci e sugli steli mentre l’ombra scende nella valle a (passi taciti e sui monti scivola l’ultimo raggio stanco. Ora vedete: come nel Serafico l’idea del dolore è trausumanata si che ogni scoria, direi quasi, di umanità è caduta da essa come vecchia scorza da un tronco, e tutta la forza dell’estasi muove il volo dal supremo dolore nell’ebbrezza di una visione assolata di gioia; vedete come tutti i fenomeni e tutte le forze nemiche e distruttrici della vita cosmica perdono il loro potere contro lo spirito umano vittorioso, e quasi inconscio di tanta vittoria. e si ritrovano anzi affratellate con il loro nemico naturale. O mia sorella Morte!... niente è contro l’uomo che sa veramente amare; egli doma la natura e la vita coll’amore, e la belva che fatta mite, viene a lambire il piede al solitario e a mangiare nella sua scodella, è l’eterno simbolo di questa sublime verità. Amore nel senso più vasto e più alto della parola può dirsi essere l’anima del canto purissimo di Pergolesi. Quando ascoltate lo Stabat, questa drammati— ca descrizione della più gran3e tragedia del mondo, non potrà non sorprendervi questa semplice e commovente ingenuità che potè stabilire un così forte contrasto tra la forma di espressione e la visione tragica d’onde tale forma scaturisce. Sproporzione! Forse, ma sproporzione che ritrovasi in ’tutti i primitivi e che non va a scapito di, nulla, che anzi, lungi dal togliere efficacia alla loro espressione, aggiunge un godimento strano e soave alla nostra ammirazione; e Pergolesi se non proprio possa considerarsi come un primitivo nella sua arte, certo dei primitivi ha in sè tali caratteri da non poterlo staccare.da quelli; è un po’ il casodel Beato Angelico, il quale però fu un anacronismo costante in tutta la sua produzione, mentre il Pergolesi sente tale sproporzione nello Stabat. E infatti, se si pensa all’espressione piena, completa, potente dell’anima religiosa dei cinquecentisti, primo fra tutti il grandissimo Palestrina, sembrerà assai minore questa voce tenue e commossa, quasi infantile o femminile, avente in sè qualche cosa di così fragile e puro, di così passionatamente vivo che ci arrida al cuore direttamente, e se non ci lascia così pieni di risonanze tragiche e possenti, o così scossi cóme l’altra voce, la più forte, tuttavia il nostro cuore ne resta gonfio di tenerezza e di riconoscenza per chi seppe ridestare in noi tanta freschezza-di suoni e di profumi. C’è in questa musica dolorosa, ma n6n mai spasmodica del Pergolesi, una evidentissima corrispondenza di carattere con la ingenuità’ e la semplicità così espressiva del testo; corrispondenza di stile, dovuta certo a sola coincidenza; analogia di natura, non già virtuosismo di forma; e perciò aggiunge valore e sapore all’opera. La quale resta pur

sempre una delle pagine di musica — mi sia lecito l’attributo — più profumate che si conoscano. Che cosa è dunque questo soffio che traversando l’anima del giovane musicista, dalla balda espressione della sua pienezza di vita e dalla colorita sensualità, quale si manifesta nelle altre opere, o dal facile riso e dalla gaiezza spensierata di una gioventù appena sbocciata, lo sp;nse a così sincero accento di tenerezza triste, di nostalgica brama, di mistico ardore? Forse una sera, mentre dalla finestra di una umile stanzetta, quando il sole è calato e la notte non è scesa ancora, e il pigolio delle rondini inseguentisi per il cielo diviene più acuto e assordante, con l’ombra che scendeva, ei vide entrare nello spazio breve, lungo la parete grigia, (il fantasma freddo della Nemica che lo aspettava all’agguato, e sentì aderire alla schiena, come uno straccio umido, i•l suo abbraccio fatale e irrimediabile.... e come il condannato che ode chiuder sopra si sè l’ultima porta, con la speranza sente poi tutto l’orrore cadere a poco, a poco dallo spirito attonito: così egli forse, mentre idealmente tendeva le labbra al terribile bacio, sentì nella ’bocca un sapore di pianto che era pieno di una durezza nuova; e non il dolore amaro dell’oppresso e del vinto, non l’esaltazione del visionario e neppure la compassione sovrumana di Dio pei poveri uomini sentì passare nel suo cuore gonfio, ma il ddlore umano, infinito, dolcissimo della madre; egli, che cosa era ormai se non un fanciullo bisognoso ancora della madre nel mondo, se non un fanciullo sperduto,nella via della vita, che la Morte veniva a raccogliere sotto il suo mantello umido; la Morte che viene quando vuole e che non sceglie nè la vittima, nè il luogo, nè l’ora?..

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E’ difficile affermare quale posto nella storia della musica avrebbe potuto occupare il Pergolesi se non fosse morto all’età di ventisei anni. Quello che di lui resta, sopravvive per sola forza propria, intensità di vibrazione non comune, testimonianza di una sensibilità superiore, e di una purezza rara. Ma nato in un momento in cui la musica, distolta dal sentimento religioso dei cinquecentisti per opera del melodramma, cominciava ad orientarsi verso quella sensualità che doveva poi degenerare in frivolità e costituirne la decadenza, egli, dall’indirizzo e dalla forza dei tempi trascinato alle forme di espressione correnti non aveva potuto e saputo produrre che della musica colorita e piacevole; quando il suo spirito vero si rivelò a sè stesso, la morte troncò la sua voce. Lo Stabat sta lì come una mano appoggiata sopra la maniglia di una porta; ma la mano è inerte e fredda; che cosa c’era dietro la porta? Non si può dire di lui quel che si può a ragione indurre di Bellini; che cioè egli avesse esaurita o quasi la sua energia creativa; almeno affermare si può che l’opera di Bellini quale ci rimane, basta a darci la figura completa del grande musicista, in Per