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338 il buon cuore

TANCREDI CANONICO

Qualche anno fa l’editore Cogliati aveva preparato un volume di mons. Bonomelli: Profili di tre personaggi italiani, (Antonio Fogazzaro, Talco di Revel, Tancredi Canonico). Per consiglio di amici però all’ultimo momento ne era stata sospesa la pubblicazione. Nei suoi ultimi mesi il grande Vescovo. di Cremona aveva solleCitato l’editore di pubblicarlo. Questi non aderì perchè pensava, che i tempi non erano ancora maturi. Oggi, però, dopo quattro mesi dalla Morte, si può credere che sia scomparsa ogni ragione di attesa e la pubblicazione è avvenuta. Diamo quì in saggio alcune pagine che delineano la figura di Tancredi Canonico. Non sia grave al lettore che in poche righe accenni com’ebbero origine i miei rapporti col Senatore Canonico e ripeto, come dichiarai sopra pel Revel che le poche cose che verrò dicendo di lui, da lui stesso le appresi o per iscritto o a voce e non vi aggiungo, nè levo sillaba. Otto anni circa or sono io mi trovava a Firenze presso una persona assai nota pel nome che porta, per le alte parentele che ha, e più ancora per la splendida beneficenza. E’ ricca di censo, ma più ricca ancora di cuore e non la nomino per non offendere la sua modestia. E’ di Tiene persone, che mettono tutta la loro energia nel fare il bene e sembra la raddoppino nel nasconderlo. In quella casa ebbi la ventura di conoscere il Senatore Tancredi Canonico, allora Vite Presidente e poco dopo n’esidente del Senato, Non avea mai avuto occasione di vederlo e nemmeno di aver relazione epistolare con lui: ma da molte persone d’ogni partito e degne di fede avea udito parlare del suo ingegno, della sua dottrina, del suo carattere, della sua bontà e della sua religione profonda, che senz’o.mbra di rispetto umano professava in privato ed in pubblico. Ricordo bene la sera, che lo vidi e potei trattenermi a lungo con lui e la impressione indimenticabile, che ne riportai. Quella nobile e bella figura di vecchio la vedo ancora. La fronte ampia e maestosa, gli occhi vivi, sorridenti e dolci come d’un fanciullo: la barba tra il bianco e il biondo, pochi e candidi capelli sulla testa, alcune rughe sul volto, sul quale si può rilevare una bellezza, che il tempo non ha potuto distruggere. rivelatrice d’una vita corretta e sobria. Una di quelle figure gravi e amabili, dinnanzi alle quali senza volerlo ci sentiamo inferiori e ispirano riverenza. ’In quel primo abboccamento si parlò di non so quante cose anche disparate, di questioni filosofiche e politiche e, codera naturale, dello stato religioso della nostra società. Io pendeva dalle sue labbra e per me i giudizi, gli apprezzamenti di quell’uomo conoscitore perfetto dei nostri tempi e dei nostri bisogni, manifestati con tutta semplicità, e chiarezza e serenità perfetta, erano raggi di luce e mi sentiva tutto confortare anche perchè li trovavo consoni a’ miei. Fin da quella prima conversazione sentii l’animo mio avvinto a lui in modo irresistibile. Qualche tempo appresso lo trovai a Roma e poi ebbe la bontà di venire a Cremona e per due giorni fu mio ospite. In quei giorni, liberi entrambi da ogni cura, conversammo a tutto nostro agio e parlammo dei più svariati e vitali argomenti e le ore che passammo insieme volarono come minuti, ma mi ’lasciarono nell’animo una dolcezza che conosce solo chi l’ha gustata. D’allora in poi la nostra relazione per lettere divenne più confidenziale e’ più frequente,e per me quando giungeva la posta e tra le lettere all calligrafia riconoscea tosto una sua, un vivissia mo piacere mi ricercava tutta l’anima e non potea tenermi dall’esclamare: — Ecco una lettera del Senatore Canonico. — L’anno 1907, in agosto, un caso strano non voluto, nè preveduto nè da lui, nè da me, ci riunì per. due o tre giorni in Val di Cadore, a Lorenzago. Il Presidente del Senato avea bisogno di un luogo tranquillo affine di prepararsi al processo troppo celebre del Nasi, che dovea discutersi regli ultimi mesi del-, l’anno. pensò di ritirarsi per un buon tratto di tempo nell’alto Cadore e ai primi del mese d’agosto ci trovammo insieme nella villa del Marchese Ferdinando Resta-Pallavicino. «Sono qui per riposarmi e rifare le mie forze (aveva_quasi 8o anni) e devo lavo.:u.re e come! mi dicea Ho portato con me 34 fascicoli di roba: devo leggerli tutti per studiare e ordinare questo processo sì lungo, sì intricato e di tanta importanza, e consideri che devo prepararmi, come un giovane avvocato, che fa le sue prime armi. Da gran tempo non tratto più cause e ora sono costretto a consultare i manuali di procedura per non trascurare qualche formalità, che, basterebbe a rendere nullo il processo o a farmi compatire. alla mia età!». In quei pochi ritagli di tempo, che avea liberi, potei come a Firenze e più che a Firenze, trattenermi con lui a discorrere, come potete immaginare, di molte cose interessantissime. In quei giorni in tutta Italia non si parlava che di clericalismo e anticlericalismo: i giornali erano pieni di accuse, di dimostrazioni, di calunnie contro il Clero e particolarmente contro le case dei religiosi. Nulla di più naturale per me Che l’interrogare l’uomo insigne, col quale avea l’onore di conversare, sulle cause dello scatenamento anticlericale, sui mezzi di arrestarlo o scemarlo, sull’avvenire della Religione in Italia e di tutto questo ragionammo e a suo luogo riporterò il suo modo di vedere, almeno in quella parte che mi pare conveniente. Dopo l’agosto del 1907 non mi fu più dato vederlo: solo ebbi qualche lettera. Quel processo fu per lui una fatica enorme e fatale. Potè aprirlo, dirigerlo per alcune sedute e poi a quello sforzo della mente, a quella intensità di lavoro intellettuale più non resse: si ritirò e non molto dopo (non rammento il mese e il giorno) pagò il tributo della natura: giunto alla sera della sua giornata, si