Pagina:Il canapajo di Girolamo Baruffaldi, Bologna 1741.djvu/39

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Ma se puoi, non lasciar le colombine,
185O gli escrementi di qualunque pollo,
E gli usa, non sul primo straziarsi
Il campo, ma allor quando già vicina
L’ora, e ’l giorno sarà di sementarlo,
Come al suo tempo ti verrò a scoprire.
190In tanto, poi che avrai del grossolano
Letame la tua terra ricoperta,
E sia giunto quel tempo, che abbandona
La Verginella innamorata il sole,
Le celesti bilance ripigliando;
195Fa che lo stabbio non più in monte colmo,
Ma col badil, per la campagna tratto,
Quanto mai può ’l tuo braccio, in ogni parte,
E ad ogni gleba liberal si mostri,
Sicchè neppure un granellin di terra,
200Che derelitto ne rimanga, v’abbia:
Ma nol far mai quando ’l suo colmo pieno
Mostri Cinzia dal cielo alta e pendente.
Questo punto è fatal, per quanto almeno
E’ l’osservanza de’ bifolchi esperti,
205Che di contado son peripatetici,
E del celeste studio più ne sanno,
Che quanti mai con l’astrolabio in pugno
Fur di Rosaccio, o di Ticon seguaci.
Seminato così lo stabbio in tutto
210Quel campo che a la canape assegnasti,
Tosto nel dì a venir, di buon mattino,
Quando l’alba rosseggia, e ’l cielo alluma,
Torna pur con l’aratro a ritagliarlo,
E a seppellirlo fin che pingue appaja,
215Nè Febo co’ suoi rai l’inaridisca.
Da se mandando va sotto la coltre