Pagina:Il canapajo di Girolamo Baruffaldi, Bologna 1741.djvu/69

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Gli occhj, e guidollo a veder lume un cieco;
Che in propria casa ogn’ignorante è dotto.
E non è bello quel tappeto verde
Tessuto a foglie? Or sappi, che a ridurlo
A questa sì pomposa appariscenza,
Molta conviene oprar arte ed ingegno.
Ma qui sediam, che ’l buon orezzo ’l chiede,
Nel solitario stradellaccio angusto,
A questo campo verdeggiante in faccia,
E ciò che di più dir sovviemmi, ascolta.
Finchè sta in suo covile il seme occulto
Sazio già di letame e di travaglio,
Guardi bene ’l cultor dal rostro adunco
De’ domestici augelli a custodirlo,
E degli altri animai dal duro piede.
Razzolan troppo i primi, e gli altri al pasto
Troppo son usi di granita biada,
O di tenera erbetta allor nascente.
Intanto, a vista, dopo brievi giorni,
(E ancor pria se ’l terren d’umido abbondi,
E piovereccia sia l’aria, o nebbiosa)
Sorger vedrai le pianticelle spesse,
Giusta la man di chi buttò già ’l seme;
E dopo le due foglie seminali,
Altre d’intorno alzarsi ne vedrai
Al picciol stelo, che va pur sorgendo.
Tutto è tenero ancora: e guai se un ugna
Di quadrupede armento, dal custode
Libero fatto, a calpestarlo arriva.
Troncansi i bei germogli, o seppelliti
Rimangon sì, che non più metton vetta,
E ’l cultor spera invan la sua ricolta.
Sorta così per quanto è lungo un dito