Pagina:Il canapajo di Girolamo Baruffaldi, Bologna 1741.djvu/98

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Tutti non ponno al Cimin monte presso,
Colà dove Viterbo alza sue mura,
Spianar un lago: ivi natura aprillo,
E non già l’arte: ivi quel zolfo occulto,
Che per le vene serpe de la terra
Tanto riscalda lo stagnante umore,
Quanto vale in Leone il sol cocente,
E tal mantienlo anche la fredda notte;
Il che Febo non fa, da noi partendo.
Tu, che ti stai lontan da questa cava,
Perchè fu avversa a’ tuoi desir’ natura,
Da l’arte hai da cercar ciò che ti manca,
E manca a quel terren che ti circonda.
Cavar tu dei questa giovevol fossa
Con le tue man’, nè pel sudor stancarti,
Che a suo tempo n’avrai mercè opportuna,
E ’l tuo sparso sudor benedirai.
Poi che una volta questo pelaghetto
T’apristi, ne godrai tu stesso ’l frutto,
E lo godranno i figli ed i nipoti,
Pur che illeso, e usual serbar tel sappi,
Nè arena, od erba tel riempia, o ingombri.
Chi fu inventor di queste cave bolge
Acqua cercò stagnante, e non corrente,
Perchè di sali e zolfi più abbondano,
Giugne presto a infrollar ciò che di crudo
In se ritien, purchè sia forestiero,
Nè di sue paludose acque abitante.
E pur l’acqua corrente (e chi nol vede?)
Essendo viva, potria far gran cose.
Potrialo, è ver: e ogni ragione il mostra;
Ma ragione altresì non vuol che in essa
Canape a macerar nessun s’arrischj.