Pagina:Il diamante di Paolino.djvu/17

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Due ore dopo il suo arrivo, Paolino girondolava a caso in mezzo a quella bella città, della quale a Montalvo si parlava come d’una regione incantata.

Dalla via Torino, dove aveva scelto, secondo i consigli del Filippi, una locanda elegantissima, egli s’era diretto verso la galleria e si fermava estatico a guardar tutte le botteghe smaglianti di dorature e d’ornati. Non è a dirsi la sua meraviglia, allorchè scorse, in mezzo ad un caos di persone, di cavalli e di carrozze il premuroso gioielliere.

— Oh! Dio buono! — esclamò il giovane correndogli incontro; siete proprio voi, signore?

— Sì, caro — rispose il Filippi con tono gioviale sono io in carne ed ossa.

Io dispongo di mezzi di locomozione molto più speditivi dei vostri e mi trovo a Milano da due giorni. E posso dirvi che non sono stato colle mani in mano, Prima di tutto ho veduto il personaggio che, secondo ogni apparenza, comprerà il diamante. Poi ho pensato a trovarvi un alloggio conveniente, visto e considerato che un signore come voi non può restare in una locanda.

Avrete una bella palazzina, servitù, carrozza e cavalli. Potrete, se vi piace, cominciar da oggi stesso la vostra vita di gentiluomo. Intanto mi favorirete la gemma affinchè la possa far vedere alla persona che desidera acquistarla.

Io vi farò rimettere qualche migliaio di scudi per i vostri minuti piaceri, e quando li avrete finiti me ne chiederete degli altri. Eccovi il mio indirizzo, scrivevetemi o venite a trovarmi.

La mia casa vi sarà sempre aperta...

Paolino Delbosco era passato da otto giorni per la trafila di tante emozioni, che quelle parole non lo scossero nemmeno.