Pagina:Il mio Carso.djvu/105

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tra l’erbe. Dolce creatura! E quando chinavi la testa sulla mia spalla, io ti tenevo il mento nella mano, t’accarezzavo le guancie e i fini capelli, e una tenerezza tremante mi prendeva non potendo io comprendere che tu eri mia. Piccola, piccola! perchè m’hai fatto questo male?

Solo m’hai lasciato qui, dopo averti baciato.

E ora non c’è pace più, in nessun posto, anima. Dove potremo nascondere la nostra amarezza? Alziamoci e camminiamo con i nostri cotidiani passi lenti, in cerca della nostra solitudine.


Il carso è un paese di calcari e di ginepri. Un grido terribile, impietrito. Macigni grigi di piova e di licheni, scontorti, fenduti, aguzzi. Ginepri aridi.

Lunghe ore di calcare e di ginepri. L’erba è setolosa. Bora. Sole.

La terra è senza pace, senza congiunture. Non ha un campo per distendersi. Ogni suo tentativo è spaccato e inabissato.

Grotte fredde, oscure. La goccia, portando con sè tutto il terriccio rubato, cade regolare, misteriosamente, da centomila anni, e ancora altri centomila.


Ma se una parola deve nascere da te ― bacia i timi selvaggi che spremono la vita dal sasso! Qui è pietrame e morte. Ma quando una genziana riesce ad alzare il capo