Pagina:Il mortorio di Christo.djvu/236

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SCENA Q.V A RTA. ut rinunciti cagion dt {noi dolori.

Mur. Dunque,figlio petti di qua partirmi, £ Infettiti frà ladri tiiwto, t morto { £ diro,ehi fui madre ! ahi che preuiddù lituo[afer l'intepidito affetto Del cor materno alì hor, che mi lafciajli In poter del nepc!e,e’l dolce nome Mi togliefii dt Madre,ch’ero indegna Vi tanto pregio,t lo mofirai con l’opre.

Come dirò più macche lamia vita Dal v:uer tuo dipendere il mio corpo treffo al tuo^'rpo fflammatoe vitto ?

Chi crederà più mai veri i miei pianti Se mitre à vtfta altrui pian fer qtrt/l’occhi.

Si dtmofirò s) dtfarmato il core t Scuftmt,figlio ch’ifusntta io cad.lt , Morta alfenfo vi tal,viua al aoiort: He vidi ondt pa*jì,r, è doue f iu. fi $ Ch'altri mi lrafftr con pietà crudele Da quefto tronco,ou’il mio cor ìafeiai.

£ fe icnitta alcun Rabbino in tanto Ad ifmemkrarti, e farti onta,e difpettos Chi vietato l’hautia-chi le difefe Hattrebbe tolte dtl tuo corpo e/Jangue, S’anco la Madre era fuggita altroue ?

Mache difefa, fe tù gli occhi miei Altri fù ardito à [palancarti il petto ?

Et hor,cht torno,à che ritorno!appefo tur re/li à vn legno,et io me’l vedo,e foffre], Ah> fuenturata Madre,ch'ai tuo Figlio Giouar non pud, fiati da lungi,ò appnjfo.

An\t, mentre fui teco al tuo morire, Cen le lagrime vti1i accrebbi'Iduclo : £ cofi