Pagina:Il piacere.djvu/109

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feretro; e il Tritone non gittava acqua, forse per causa d’un restauro o d’una pulitura. Venivano giù per la discesa carri tirati da due o da tre cavalli messi in file e torme d’operai tornanti dalle opere nuove. Alcuni, allacciati per le braccia, si dondolavano cantando a squarciagola una canzone impudica.

Egli si fermò, per lasciarli passare. Due o tre di quelle figure rossastre e bieche gli rimasero impresse. Notò che un carrettiere aveva una mano fasciata e le fasce macchiate di sangue. Anche, notò un altro carrettiere in ginocchio sul carro, che aveva la faccia livida, le occhiaie cave, la bocca contratta, come un uomo attossicato. Le parole della canzone si mescevano ai gridi gutturali, ai colpi delle fruste, al romore delle ruote, al tintinnio dei sonagli, alle ingiurie, alle bestemmie, alle aspre risa.

La sua tristezza s’aggravò. Egli si trovava in una disposizion di spirito strana. La sensibilità de’ suoi nervi era così acuta che ogni minima sensazione a lui data dalle cose esteriori pareva una ferita profonda. Mentre un pensiero fisso occupava e tormentava tutto il suo essere, egli aveva tutto il suo essere esposto agli urti della vita circostante. Contro ogni alienazione della mente ed ogni inerzia della volontà, i suoi sensi rimanevano vigili ed attivi; e di quell’attività egli aveva una conscienza non esatta. I gruppi delle sensazioni gli attraversavano d’improvviso lo spirito, simili a grandi fantasmagorie in una oscurità; e lo turbavano e sbigottivano. Le nuvole del tramonto, la forma del Tritone cupa in un cerchio di fanali smorti, quella