Pagina:Il piacere.djvu/116

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Allora, con un movimento repentino, Elena si sollevò sul letto, strinse fra le due palme il capo del giovine, l’attirò, gli alitò sul volto il suo desiderio, lo baciò, ricadde, gli si offerse.

Dopo, una immensa tristezza la invase; la occupò l’oscura tristezza che è in fondo a tutte le felicità umane, come alla foce di tutti i fiumi è l’acqua amara. Ella, giacendo, teneva le braccia fuori dalla coperta abbandonate lungo i fianchi, le mani supine, quasi morte, agitate di tratto in tratto da un lieve sussulto; e guardava Andrea, con gli occhi bene aperti, con uno sguardo continuo, immobile, intollerabile. A una a una, le lacrime incominciarono a sgorgare; e scendevano per le gote a una a una, silenziosamente.

― Elena, che hai? Dimmi: che hai? ― le chiese l’amante, prendendole i polsi, chinandosi a suggerle dai cigli le lacrime.

Ella stringeva forte i denti e le labbra per contenere il singulto.

― Nulla. Addio. Lasciami; ti prego! Mi vedrai domani. Va.

La sua voce e il suo gesto furono così supplichevoli che Andrea obbedì.

― Addio ― egli disse; e la baciò in bocca, teneramente, provando il sapore delle stille salse, bagnandosi di quel caldo pianto. ― Addio. Amami! Ricórdati!

Gli parve, rivarcando la soglia, di udire dietro di sè uno scoppio di singulti. Andò innanzi, un po’ incerto, titubante come un uomo che abbia la vista malsicura. Gli persisteva nel senso l’odore del cloroformio, simile a un vapor d’e-