Pagina:Il piacere.djvu/119

Da Wikisource.

― 107 ―

dando i primissimi giorni, il suo male, la rapida dedizione. ― Mi sarei data a te la sera stessa ch’io ti vidi.

Ella ne provava una specie d’orgoglio. E l’amante diceva:

― Quando udii, quella sera, annunziare il mio nome accanto al tuo, su la soglia, ebbi, non so perchè, la certezza che la mia vita era legata alla tua, per sempre!

Essi credevano quel che dicevano. Rilessero insieme l’elegia romana del Goethe: “Lass dich, Geliebte, nicht reun, dass du mir so schnell dich ergeben!... Non ti pentire, o diletta, d’esserti così prontamente concessa! Credimi, io di te non serbo alcun pensiero basso e impuro. Li strali d’Amore han vario effetto: li uni graffiano a pena, e del tossico che s’insinua il cuor soffre molt’anni; bene pennuti e armati d’un ferro aguzzo e vivo, li altri penetrano nel midollo e subitamente infiammano il sangue. Ai tempi eroici, quando gli dei e le dee amavano, il desio seguiva lo sguardo, il godimento seguiva il desio. Credi tu che la dea dell’Amore abbia a lungo meditato quando, sotto i boschetti d’Ida, Anchise un giorno le piacque? E la Luna? S’ella esitava, l’Aurora gelosa avrebbe presto risvegliato il bel pastore! Ero vede Leandro in piena festa, e l’acceso amante si tuffa nell’onda notturna. Rea Silvia, la vergine regia, va ad attinger acqua nel Tevere e la ghermisce il dio...„

Come per il divino elegiopèo di Faustina, per essi Roma s’illuminava d’una voce novella. Ovunque passavano, lasciavano una memoria d’amore. Le chiese remote dell’Aventino: Santa