Pagina:Il piacere.djvu/176

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con una specie di religiosa ebrietà, credeva posseder l’infinito. Quel ch’ei provava era ineffabile, non esprimibile neppur con le parole del mistico: “Io sono ammesso dalla natura nel più secreto delle sue divine sedi, alla sorgente della vita universa. Quivi io sorprendo la causa del moto e odo il primo canto delli esseri in tutta la sua freschezza.„ La vista a poco a poco mutávaglisi in visione profonda e continua; i rami delli alberi sul suo capo gli parevan sollevare il cielo, ampliare l’azzurro, risplendere come corone d’immortali poeti; ed egli contemplava ed ascoltava, respirando col mare e con la terra, placido come un dio.

Dov’eran mai tutte le sue vanità e le sue crudeltà e i suoi artifici e le sue menzogne? Dov’erano gli amori e gli inganni e i disinganni e i disgusti e le incurabili ripugnanze dopo il piacere? Dov’erano quegli immondi e rapidi amori che gli lasciavan nella bocca come la strana acidezza di un frutto tagliato con un coltello d’acciajo? Egli non si ricordava più di nulla. Il suo spirito avea fatto una grande renunziazione. Un altro principio di vita entrava in lui; qualcuno entrava in lui, segreto, il quale sentiva la pace profondamente. Egli riposava, poichè non desiderava più.

Il desiderio aveva abbandonato il suo regno; l’intelletto nell’attività seguiva libero le sue proprie leggi e rispecchiava il mondo oggettivo come un puro soggetto della conoscenza; le cose apparivano nella lor forma vera, nel lor vero colore, nella vera ed intera lor significazione e bellezza, precise, chiarissime; spariva