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Pagina:Il piacere.djvu/284

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Talvolta egli rimaneva lungamente fiso, senza disegnare; ed io avevo l’impressione che egli bevesse per le pupille qualche cosa di me o che mi accarezzasse con una carezza più molle del velluto sul quale si posava la mia mano. Di tratto in tratto, mentre stava chino sul foglio ad infondere forse nella linea quel ch’egli aveva da me bevuto, un sorriso lievissimo gli passava su la bocca, ma così lieve che a pena io poteva coglierlo. E quel sorriso, non so perchè, mi dava a sommo del petto un tremolìo di piacere. Ancora, due o tre volte, ho veduto riapparire su la sua bocca la figura del bacio.

Di tratto in tratto, la curiosità mi vinceva; e io domandavo: ― Ebbene?

Francesca stava seduta al pianoforte, con le spalle rivolte a noi; e toccava i tasti cercando di ricordarsi la Gavotta di Luigi Rameau, la Gavotta delle dame gialle, quella che ho tanto sonata e che rimarrà come la memoria musicale della mia villeggiatura a Schifanoja. Smorzava le note col pedale; e s’interrompeva spesso. E le interruzioni dell’aria a me familiare e delle cadenze, che l’orecchio compiva precorrendo, erano per me un’altra inquietudine. D’improvviso, ella ha battuto forte un tasto, ripetutamente, come sotto l’urto di un’impazienza nervosa; e s’è levata, ed è andata a chinarsi sul disegno.

L’ho guardata. Ho compreso.

Mancava ancora quest’amarezza. Dio mi riserbava all’ultimo la prova più crudele. Sia fatta la sua volontà.