Pagina:Il piacere.djvu/328

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fidandosi al destino, alle vicende del caso, all’accozzo fortuito delle cagioni. Ma, mentre egli credeva con questa specie di fatalismo cinico mettere un argine alla sofferenza e conquistare se non la calma almeno l’ottusità, in lui di continuo la sensibilità al dolore diveniva più acuta, le facoltà di soffrire si moltiplicavano, i bisogni e i disgusti aumentavano senza fine. Egli esperimentava ora la profonda verità delle parole che aveva dette un giorno a Maria Ferres, in un momento di confidenza e di malinconia sentimentali: ― Altri sono più infelici; ma io non so se ci sia stato al mondo uomo men felice di me. ― Egli esperimentava ora la verità di quelle parole dette in un momento assai dolce, quando gli illuminava l’anima l’illusione di una seconda giovinezza, il presentimento d’una nuova vita.

E pure, quel giorno, parlando a quella creatura, egli era stato sincero come non mai; egli aveva espresso il suo pensiero con ingenuità e candore, come non mai. Perchè, in un soffio, tutto s’era dileguato, tutto era svanito? Perchè non aveva saputo egli nutrire quella fiamma nel suo cuore? Perchè non aveva saputo custodire quella memoria e tenere quella fede? La sua legge era dunque la mutabilità; il suo spirito aveva l’inconsistenza d’un fluido; tutto in lui si trasformava e si difformava, senza tregua; la forza morale gli mancava intieramente; il suo essere morale si componeva di contraddizioni; l’unità, la semplicità, la spontaneità gli sfuggivano; a traverso il tumulto, la voce del dovere non gli giungeva più; la voce