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piazza deserta. La bellezza della notte gli diede, d’improvviso, un’aspirazione vaga ma affannosa verso un Bene sconosciuto; l’imagine di Donna Maria gli attraversò lo spirito; il cuore gli palpitò forte, come all’urto d’un desiderio; gli balenò il pensiero di tener le mani di Donna Maria nelle sue, di piegare sul cuor di lei la fronte e di sentirsi da lei consolare senza parole, pietosamente. Quel bisogno di pietà, di rifugio, di compianto fu come l’ultimo tratto dell’anima che non si rassegnava a perire. Egli chinò il capo e rientrò nella casa, senza più volgersi a guardare la notte.
Terenzio l’aspettava, nell’anticamera, e lo seguì fin nella stanza da letto, dove il fuoco era acceso. Domandò:
― Il signor conte va a letto súbito?
― No, Terenzio. Portami il tè ― rispose il signore, sedendosi innanzi al camino e tendendo le palme verso la fiamma.
Egli tremava, d’un piccolo tremito nervoso. Aveva pronunziate quelle parole con una strana dolcezza; aveva chiamato a nome il domestico; gli aveva dato del tu.
― Ha freddo il signor conte? ― domandò Terenzio, con una premura affettuosa, incoraggiato dalla benevolenza del signore.
E si chinò su gli alari a ravvivare il fuoco, aggiungendo altre legne. Egli era un vecchio servo di casa Sperelli; aveva servito il padre di Andrea per molti anni; e la sua devozione pel giovine giungeva sino all’idolatria. Nessuna creatura umana gli pareva più bella, più nobile, più sacra. Egli apparteneva, in verità, a quella