Pagina:Il piacere.djvu/455

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― Questa sarà la prima e l’ultima notte d’amore! Io parto martedì.

Ella gli singhiozzò su la bocca, tremando forte, stringendoglisi forte contro la persona:

― Fa che io non veda domani! Fammi morire!

Guardandolo nella faccia disfatta, gli domandò:

― Tu soffri? Anche tu... pensi che non ci rivedremo più mai?

Egli provava una difficoltà immensa a parlarle, a risponderle. Aveva la lingua torpida, gli mancavano le parole. Provava un bisogno istintivo di nascondere la faccia, di sottrarsi allo sguardo, di sfuggire alle domande. Non seppe consolarla, non seppe illuderla. Rispose, con una voce soffocata, irriconoscibile:

― Taci.

Le si raccolse ai piedi; restò lungo tempo con la testa sul grembo di lei, senza parlare. Ella gli teneva le mani su le tempie, sentendogli la pulsazione delle arterie ineguale e veemente, sentendolo soffrire. Ed ella stessa non soffriva più del suo proprio dolore, ma soffriva ora del dolore di lui, soltanto del dolore di lui.

Egli si levò; le prese le mani; la trasse nell’altra stanza. Ella obedì.

Nel letto, smarrita, sbigottita, innanzi al cupo ardore del forsennato, ella gridava:

― Ma Che hai? Ma che hai?

Ella voleva guardarlo negli occhi, conoscere quella follia; ed egli nascondeva il viso, perdutamente, nel seno, nel collo, ne’ capelli di lei, ne’ guanciali.

A un tratto, ella gli si svincolò dalle braccia, con una terribile espressione d’orrore in tutte