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Nelle ore pomeridiane del tè le signore, per eleganza, giungevano dicendo: “Vengo dalla vendita del pittore Campos. Molta animazione. Magnifici i piatti arabo-ispani! Ho preso un giojello di Maria Leczinska. Eccolo.„

― Si delibera!

Le cifre salivano. Intorno al banco si accalcavano li amatori. La gente elegante si dava ai bei parlari, fra le Natività e le Annunciazioni giottesche. Le signore, fra quell’odore di muffa e di anticaglie, portavano il profumo delle loro pellicce e segnatamente quello delle violette, poichè tutti i manicotti contenevano un mazzolino secondo la moda leggiadra. Per la presenza di tante persone, un tepore dilettoso diffondevasi nell’aria, come in una umida cappella dove fossero molti fedeli. La pioggia seguitava a crosciar di fuori e la luce a diminuire. Furono accese le fiammelle del gas; e i due diversi chiarori lottavano.

― Uno! Due! Tre!

Il colpo di martello diede il possesso dell’elmo fiorentino a lord Humphrey Heathfield. L’incanto ricominciò di nuovo su piccoli oggetti, che passavano lungo il banco, di mano in mano. Elena li prendeva delicatamente, li osservava e li posava quindi innanzi ad Andrea, senza dir nulla. Erano smalti, avorii, orologi del XVIII secolo, gioielli d’oreficeria milanese del tempo di Ludovico il Moro, libri di preghiere scritti a lettere d’oro su pergamena colorita d’azzurro. Tra le dita ducali quelle preziose materie parevano acquistar pregio. Le piccole mani avevano talvolta un leggero tremito al contatto delle cose