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Pagina:Il podere.djvu/143

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cinquanta a cinquantacinque sacca. Nè più nè meno. Ci scommetto la testa, che la metterà dentro la trebbiatrice; se non do nel giusto. Mi chiami alla Casuccia, quando trebbierà. Io, vede, mi appassionerei al suo podere come se me ne venisse qualche guadagno o fosse mio. E non m'importa niente che suo padre non m'abbia voluto dare quelle maledette dugento lire; che ci sputerei sopra, costringendomi a chiederle a lei.

— Ma se è vero che non ve l'ha date...

— Ho capito! Lei vuol ridere alle mie spalle. Ma perchè mi ha fatto chiacchierare fino ad ora? Io sono abituato a trattare con le persone ragionevoli. Ho anche fatto una sudata, come una bestia, a venir fuori di Porta con lei, a questo caldo!

E si asciugò tutta la testa, poi sotto il mento.

— Io ve l'ho detto dianzi: per qualunque cosa; andate dal mio avvocato.

— Allora, mi permetta che io ci vada a nome suo. E mi faccia pagare da lui.

— No, no! Se vi paga lui, perchè crede di pagarvi, sì; ma a nome mio, no.

— Gli dirà che ho parlato con lei.

— Non gli dovete dire niente!

— Questo non me lo può negare, nè proibire.

Intanto, erano giunti alla Casuccia. Seduto sul murello dell'aia c'era Bubbolo che