Pagina:Il podere.djvu/161

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Fosca aggiunse:

— Bisognerebbe che guarissi del mio cuore!

Giulia la guardò e disse:

— Povera zia! Se non avessi avuto lei!

Ad un tratto, un mucchio di cenci che era in mezzo al letto cominciò a moversi e ad aprirsi: una bambina, piangendo, alzò la testa e guardò fisso chi c'era nella stanza. Fosca corse al letto, e cavò di tra i cenci la sua figliola più piccola: aveva le mani e i piedi fasciati, con la tubercolosi alle ossa; un visuccio come la cera strutta, gli occhi neri, d'una lucentezza che pareva aumentare sempre.

— Povera Iolanda! Non dormi più? Vuoi andare dal tuo fratello, che ti terrà?

Allora, s'aprì una porta; ed entrò un giovanotto, sporco, magro, con due grossi occhiali cerchiati di ferro; stava nell'altra stanza a leggere un romanzo, con il tavolino al davanzale della finestra. Il suo collo, addirittura livido e deforme, sembrava una gonfiezza di muscoli flosci e noccioluti. Anche le tempie erano incavate come le guance, e la testa rasata era sparsa di cicatrici bianche: per tutti i versi. Tossì e disse:

— Dammela: le insegno a leggere.

La prese, e richiuse l'uscio.

Fosca s'era fatta anche gobba, benchè fosse abbastanza giovane. Ai polsi ci aveva due soprossi, che non riusciva a nascondere