Pagina:Il podere.djvu/223

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cambiare di colore al turchino del cielo. E sotto quell’aria, gli olivi piegavano giù i rami fino ai solchi. Le nuvole, nella parte più bassa della valle, verso Buonconvento, dove non c’erano monti e l’orizzonte pareva scavato nell’argilla, gonfiavano; e lampeggiava fitto. Tra i granturchetti ingialliti e bruciati dall’arsura, sembrava che la Tressa dovesse asciugarsi prima di buio; e i pascoli bruciare. Le tegole vecchie della capanna e della parata schiantavano. Tutta l’argilla, calda e abbagliante, ribolliva: e, forse, il ciliegio sarebbe morto prima d’arrivare ad un altr’anno. Qualche pioppo s’era seccato.

Un cipressetto giovane, legato con il filo di ferro a un sostegno perchè il vento non lo storcesse, cigolava. Ma non si sentiva né meno un uccello; e Remigio guardava Siena; le cui vie, di lontano a quel modo, somigliavano a screpolature di case. In tutto il cielo c’erano soltanto quattro stelle.

Remigio, ripensando a quel che gli aveva detto il padrone di San Lazzaro, stava per rientrare in capanna a rivedere il fieno; ma Ilda lo chiamò per fargli sapere che nella botte a mano non c’era più vino.

— Ha detto la zia Luigia: che si beve stasera?

— Bisognerà mettere la cannella all’altra botte.