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dovea allontanarsi per intere giornate, diveniva melanconico, inquieto e cattivo. Se si ammalava, il che spesso accadeva per i vizi che gli permettevano in assenza del padre, solo Cicchedda riusciva a curarlo e a fargli prendere medicine.

Ora Domenico, coi begli occhi verdi indifferenti, con le fossette delle guance fresche e rosate, col suo riso di uccellino, coi suoi cavallini e fucili di canna, con le sue monellerie, col suo fracasso che benchè minuscolo metteva sottosopra tutta la casa, coi suoi discorsetti strani e le parole che Salvatore Brindis gli insegnava, era l’idoletto domestico che guai a toccare!

Invece d’esserne gelosi, i Brindis si compiacevano della predilezione del bimbo per Cicchedda. Pareva loro un segno d’intelligenza: non era già tutto giusto e meraviglioso ciò che pensava, provava e balbettava il fraticello?

— Lasciandolo dunque affezionarsi a chi più gli pare e piace, contentiamoci che Cicchedda lo sappia pigliar per il suo verso, fargli ritirare il musino, prender le medicine, lasciarsi lavare e pulire, e insegnar le preghiere e le parole graziose. —

L’argomento era logico, non faceva una piega; era anzi quanto di più liscio si possa immaginare. E per tutte queste cose Agada temeva che Cicchedda l’abbandonasse col suo anno di paga anticipata.

Ma la ragazza non ci pensava neanche per so-