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L’indomani mattina montò a cavallo e tornò in cerca d’Alessio. Era da molto tempo che non cavalcava e non usciva in campagna, e quando insieme al paesano, che armato di fucile montava una cavalla bianca e pareva d’assai buon umore, si trovarono sullo stradale, egli provò una sensazione forte e piacevole, di vita e di speranza.

Gli parve di rinascere, dimenticando ogni dolore; l’orizzonte s’allargava, nitido e profondo, fuori e dentro di lui; sotto il sole d’agosto i campi pieni di stoppia inquadravano con lembi d’oro le vigne verdissime; le stradicciuole erano deserte, e solo il rauco latrare del gran cane grigio d’Alessio, dagli occhi rossi e il ventre sottile, si perdeva nella solitudine, destando l’eco fra i cespugli biondi intricati di cardi bronzini dalla testa argentea.

Arrivarono verso mezzodì in un ovile d’Alessio, posto in un luogo molto pittoresco e misterioso, tra una fitta boscaglia di roveri nane e contorte, che lasciavano sfuggire dai tronchi squarciati ciuffi di foglie dure, di un verde metallico, e proiettavano ombre oscure sul fieno secco e giallo.

Cosimo credeva d’incontrare qualche vecchio pastore avaro, con cui combinare il prestito delle tre mila lire. Invece Alessio, legati i cavalli e fatta una colazione di latticinii e pane, lo condusse più avanti.