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Pagina:Il vicario di wakefield.djvu/120

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capitolo decimosettimo. 111

Però tosto scappai nella prima osteria che mi si affacciò; ed ivi introdotto nella camera comune, fui salutato da un gentiluomo assai ben vestito, il quale mi domandò s’io fossi proprio il cappellano della compagnia de’ commedianti, o se l’abito ch’io aveva indosso non fosse che quello con cui io dovessi recitare la mia parte in palco.

Narratagli distesamente la verità, e come io non aveva per nulla che fare con essi comici, egli cortesemente invitò me e ’l recitante a partecipare d’un bacino di punch; e intanto che lo si beveva, egli ragionò di moderna politica con somma veemenza come di cosa che assai gli premesse. “Qualche gran fatto perdinci debb’esser costui, io diceva in mio cuore; che sì che almeno almeno egli è un membro del parlamento!” E queste mie congetture furono avvalorate, allora che cercando io che mi darebbe di cena l’oste, egli voleva assolutamente che noi due cenassimo seco lui a casa sua; e fu tanto poi ripetuto quell’invito che l’accettarlo ne fu forza.

CAPITOLO DECIMONONO.

Descrizione di un tale, malcontento del Governo e pauroso della perdita delle nostre franchigie.

La casa ove quegli dovea condurci non essendo molto lontana, e non vi avendo d’altronde sì pronta una carrozza, parve al nostro invitatore che vi si potesse andare a piedi; e dopo poco cammino giungemmo ad una villa la più magnifica ch’io mi abbia mai veduta. L’appartamento in cui venimmo intromessi era adornato alla moda ed elegantissimo; ed ivi ci abbandonò per un istante quell’ospite che volle dare gli ordini per la cena: intanto il comico mi facea l’occhiolino, accennando aver noi quella sera arraffata la fortuna pel ciuffetto. Poco stante ritornò colui; ed una cena sontuosa fu apparecchiata, alla