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Pagina:Il vicario di wakefield.djvu/179

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170 il vicario di wakefield.

bero come in diverse altre parti d’Europa vedersi qui pure de’ luoghi di penitenza e solitari, nei quali l’accusato trovasse tali persone che a pentimento lo riducessero, se e a nuova virtù l’infiammassero, se innocente. Questa, e non la gravezza de’gastighi, è la via per cui in uno stato si emendano i costumi. Nè io direi interamente legittimo il diritto che le umane società si sono arrogate di punire capitalmente colpe leggiere. Chiaro appare avere esse codesto diritto ne’ casi d’omicidio; dover nostro essendo il conservare e difendere noi medesimi, e togliere quindi la vita a chiunque l’altrui vita non rispettò: e contro l’omicida la natura tutta in armi si solleva. Ma non così contro del ladro: perocchè la legge naturale non dà a me diritto d’uccidere chi mi ruba il cavallo; perchè proprietà mia ella non dice essere il cavallo che colui mi toglie, ma tanto mio quanto del ladro. Se vi ha dunque diritto d’ucciderlo, questo non può derivare che da un contratto sociale per cui sia stabilito che chi priva altrui di un cavallo debba morire. Ma tale contratto è nullo; perchè niun uomo ha diritto di vendere la propria vita o di comperare l’altrui, conciossiachè nessuno ne sia egli il padrone: ed è sproporzionato; perchè assegna gravissima pena a scarso fallo; meglio essendo che vivano due uomini, di quel che non sia che l’uno cavalchi. Nè giudice alcuno ne’ moderni tribunali vorrebbe approvare un contratto di tal sorta tra due cittadini. Ora quel contratto che è invalido tra due uomini, perchè nol sarà tra cento, tra cento mila? In quella guisa che dieci milioni di cerchi non faranno mai un quadrato; tutte insieme le voci di cento e cento milioni di uomini non potranno mai dare il menomo fondamento alla falsità. Tale è la voce della ragione; e a lei fa eco con libero grido la natura. Però i selvaggi dalla sola legge naturale governati rispettano teneramente l’un dell’altro la vita, e rade volte e solo il sangue vendicano col sangue.

I nostri antichi padri, i Sassoni, feroci com’eglino