Pagina:Iliade (Monti).djvu/246

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v.863 libro nono 235

Di Laerte figliuol, non che gli sdegni
Ammorzar, li raccende egli più sempre,
E te dispregia e i tuoi presenti, e dice865
Che del come salvar le navi e il campo
Co’ duci achivi ti consulti. Aggiunse
Poi la minaccia, che il novello sole
Varar vedrallo le sue navi; e gli altri
A rimbarcarsi esorta, chè dell’alto870
Ilio l’occaso non vedrem, dic’egli,
Giammai: la mano del Tonante il copre,
E rincorârsi i Teucri. Ecco i suoi sensi,
Che questi a me consorti, il grande Aiace
E i saggi araldi confermar ti ponno.875
Il vegliardo Fenice è là rimasto
Per suo cenno a dormir, onde dimani
Seguitarlo, se il vuole, al patrio lido:
Non farà forza al suo voler, se il niega.
   D’alto stupor percossi alla feroce880
Risposta, tutti ammutoliro i duci,
E lunga pezza taciturni e mesti
Si restâr. Finalmente in questi detti
Proruppe il fiero Dïomede: Eccelso
Sire de’ prodi, glorïoso Atride,885
Non avessi tu mai nè supplicato
Nè fatta offerta di cotanti doni
All’altero Pelíde. Era superbo
Egli già per sè stesso; or tu n’hai fatto
Montar l’orgoglio più d’assai. Ma vada,890
O rimanga, di lui non più parole.
Lasciam che il proprio genio, o qualche iddio
Lo ridesti alla pugna. Or secondiamo
Tutti il mio dir. Di cibo e di lïeo,
Fonte d’ogni vigor, vi ristorate,895
E nel sonno immergete ogni pensiero.