Pagina:Iliade (Monti).djvu/406

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v.592 libro decimoquinto 73

Senza fatica la vittoria. Ad altro
Non pensiam dunque che a pugnar da forti.
   Corse Teucro alla tenda, e vi ripose
L’arco, e preso un brocchier che avea di quattro595
Falde il tessuto, un elmo irto d’equine
Chiome al capo si pose; e orribilmente
N’ondeggiava la cresta. Indi una salda
Lancia impugnata, a cui d’acuto ferro
Splendea la punta, s’avvïò veloce,600
E raggiunse il fratello. Intanto Ettorre,
Viste cader di Teucro le saette,
Le sue schiere incuorando, alto gridava:
Teucri, Dardani, Licii, ecco il momento
D’esser prodi, e mostrar fra queste navi605
Il valor vostro, amici. Infrante ha Giove
D’un gran nemico (con quest’occhi il vidi)
Le funeste quadrella. Agevolmente
Si palesa del Dio l’alta possanza,
Sia ch’esalti il mortal, sia che gli piaccia610
Abbassarne l’orgoglio, e l’abbandoni:
Siccome appunto degli Achivi or doma
La baldanza, e le nostre armi protegge.
Pugnate adunque fortemente, e stretti
Quelle navi assalite. Ognun che colto615
O di lancia o di stral trovi la morte,
Del suo morir s’allegri. È dolce e bello
Morir pugnando per la patria, e salvi
Lasciarne dopo sè la sposa, i figli
E la casa e l’aver, quando gli Achei620
Torneran navigando al patrio lido.
   Fur quei detti una fiamma ad ogni core.
Dall’una parte i suoi conforta anch’esso
Aiace, e grida: Argivi, o qui morire,
O le navi salvar. Se fia che alfine,625