Pagina:Iliade (Monti).djvu/513

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180 iliade v.14

Che terror mise ai Mirmidóni: il guardo
Non le sostenne, e si fuggîr. Ma come15
Le vide Achille, maggior surse l’ira,
E sotto le palpébre orrendamente
Gli occhi qual fiamma balenâr. Godea
Trattarle, vagheggiarle; e dilettato
Del mirando lavor, si volse, e disse:20
   Madre, son degne del divino fabbro
Quest’armi, nè può tanto arte terrena.
Or le mi vesto; ma timor mi grava
Che nelle piaghe di Patróclo intanto
Vile insetto non entri, che di vermi25
Generator la salma (ahi! senza vita!)
Ne guasti sì che tutta imputridisca.
   Pensier di questo non ti prenda, o figlio,
Gli rispose la Dea: l’infesto sciame
Divoratore de’ guerrieri uccisi30
Io ne terrò lontano. Ov’anco ei giaccia
Intero un anno, farò sì che il corpo
Incorrotto ne resti, e ancor più bello.
Or tu raccogli in assemblea gli Achivi,
E, placato all’Atride, ármati ratto35
Per la battaglia, e di valor ti cingi.
   Disse, e spirto audacissimo gl’infuse.
Indi ambrosia all’estinto, e rubicondo
Néttare, a farlo d’ogni tabe illeso,
Nelle nari stillò. Lunghesso il lido40
L’orrenda voce intanto alza il Pelíde;
Nè soli i prenci achei, ma tutte accorrono
Le sparse schiere per le navi, e quanti
Di navi han cura, remator, piloti
E vivandieri e dispensier, van tutti45
A parlamento, di veder bramosi
Dopo un lungo cessar l’apparso Achille.