Pagina:Iliade (Romagnoli) I.djvu/10

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prefazione xi

avorio, pistilli arancione acceso (Tav. VI). Ed ecco il carminio tenero, il verdolino, il violetto, l’oro vecchio, smorzati, velati, come gemme nella penombra, o improvvisamente accesi in zone rossicce o gridelline, illuminate come da una irradiazione interna, quasi fluorescenti (Tav. VII).

Ma i vocaboli non possono rendere il fascino di quelle colorazioni prodigiose. La pupilla avvezza alla violenta e semplificatrice policromia della Grecia classica, vi riposa con delizia infinita. La parola che spontanea ci corre alle labbra, quando contempliamo questi avanzi d’un’arte pur così umile, è: magia.

E se poi cerchiamo di precisare il sentimento che, reduci dalla contemplazione delle più antiche arti orientali, c’invade il cuore dinanzi alla radiosa visione egèa, un’altra parola affiora e si precisa nel nostro spirito: liberazione.

Liberazione. Quell’incubo che ci opprime dinanzi alle opere, e siano anche eccelse, dell’Egitto, o di Babilonia, o, in genere, orientali, è sparito. Qui si respira liberamente. Qui, per la prima volta, appare che l’uomo si sia svincolato dalla confusione col bruto, che sino ad ora lo aveva irretito, in una ambiguità di rapporti onde il bruto gli era sembrato perfino superiore all’uomo, persino Iddio. Qui l’uomo non interroga più gl’innumerabili aspetti dell’universo per cercarvi risposte metafisiche e simboli paurosi1; bensí li contempla, per inebriarsi, senza alcuna mira pratica, della loro bellezza.

  1. Alessandro Della Seta ha dimostrato, in maniera secondo me esauriente, che gl’innumerevoli mostriciattoli che troviamo in Creta, massime nei sigilli, non sono dèmoni (Religione e arte figurata, Roma, 1912, pag. 103, sg.).