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49-78 CANTO VI 135

te ne darebbe mio padre larghezza infinita, di cuore,
50quando sapesse che vivo sono io, degli Achei su le navi».
     Disse: ed il cuor gli molcí nel seno, con queste parole;
e al servo stava già per darlo, che via lo guidasse,
alle veloci navi. Ma in quella Agamènnone giunse,
e un grido alto levò, gli volse cosí la parola:
55«Tenero cuor, Menelao, perché sei cosí pïetoso?
Devi lodarti davvero, di quello che in casa t’han fatto
questi Troiani! Nessuno ci deve sfuggir dalle mani,
sfuggir da trista morte; neppure se alcuno la mamma
bambolo ancora in grembo lo porta, ci deve sfuggire:
60tutti spariscano, e niuno li pianga, né traccia ne resti».
     L’eroe con questi detti la mente piegò del fratello,
sí ch’ei mutasse avviso. Respinse da sé con la mano
Adrasto; e lo colpí nel fianco Agamènnone forte.
Supino giú piombò: sul petto puntandogli il piede,
65fuor dalle carni la lancia di frassino svelse l’Atríde.
     Nèstore poi gli Argivi chiamò, favellando a gran voce:
«O Dànai, prediletti campioni, seguaci di Marte,
niuno ci sia tra voi, che, indotto da brama di preda,
resti indietro, per poi gran massa alle navi portare.
70Ora, uccidiamo nemici: ché dopo, a bell’agio ciascuno
per la pianura potrà spogliare dell’arme i caduti».
     Cosí, con questi detti, spronava eccitava ciascuno.
E nuovamente i Troiani, respinti dai validi Achei,
vinti per manco di forza, tornati sarebbero in Ilio,
75se qui non fosse accorso, dov’era con Ettore Enea,
Èleno, figlio di Priamo, tra gli auguri sommo che disse:
«Ettore, Enea, voi due, che fra tutti i Troiani ed i Lici
nelle battaglie reggete lo sforzo piú grande, che i primi