Pagina:Iliade (Romagnoli) I.djvu/196

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228-257 CANTO VI 141

restano molti Achivi per te, se ad ucciderli vali.
Su via, dunque, tu ed io scambiamoci l’arme: ché tutti
230veggano quale ci stringe dagli avi legame ospitale».
     Dette queste parole, balzati dai cocchi giú a terra,
strinser la mano l’uno dell’altro, scambiaron la fede.
Ed il Croníde Giove del senno qui Glauco fe’ privo,
che col figliuol di Tidèo scambiò l’armi sue: queste d’oro,
235quelle di bronzo; e die’ cento giovenchi per nove giovenchi.
     Ettore al faggio intanto giungeva, e alle porte Sceèe.
Qui dei Troiani le spose gli corsero incontro e le figlie;
e gli chiedeva ciascuna dei figli, i fratelli, i consorti,
d’ogni parente. A ciascuna rispose che preci ai Celesti
240ora levassero. E molte restaron col lutto nel cuore.
Ma poi, quando alla casa di Priamo bellissima giunse,
tutta recinta in giro di portici al sole fulgenti —
ché da una parte v’eran di lucida pietra cinquanta
talami, l’uno all’altro costrutti vicini; ed i figli
245di Priamo qui dormiano accanto a legittime spose;
e dirimpetto a questi, nell’ala sorgevano opposta
dodici talami, bene coperti di lucida pietra,
l’uno vicino all’altro costrutti, ed i generi quivi
dormivano del re, vicino alle nobili spose —
250e dunque, incontro allora gli venne la madre amorosa,
che Laödice, la figlia piú bella di tutte, cercava.
E per la mano lo prese, gli volse cosí la parola:
«Figlio, perché la guerra crudele hai lasciata, e qui giungi?
I maledetti figli d’Acaia c’incalzano troppo
255nella battaglia, alle mura d’intorno; o il tuo cuore t’ha spinto
qui, perché tu dalla rocca, tendessi le mani al Croníde?
Dunque, rimani, ché il vino soave di miele io ti rechi,