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XXIV PREFAZIONE

accusa d’empietà (Iliade) la generazione dei padri, che mosse all’assedio di Tebe. E poi, lo spirito profondamente pessimista dei poemi omerici, le continue lamentele che gli eroi levano su la miseria delle sorti umane, rispecchiano, non soltanto lo sgomento per il rapido alternarsi della fortuna, onde i liberi e i re d’oggi erano gli schiavi di domani, ma anche la scontentezza profonda d’una gente immersa in un atmosfera di violenze e di delitti.

* * *

Quando gli Achei, soggiogate le popolazioni del continente, giungono alle coste, non piú il solo desiderio di avventure, bensí anche la continua spinta di nuove ondate di popoli, li costringe ad imprese oltremarine.

Una di queste fu la distruzione di Creta. Che ebbe i maggiori effetti sul corso della civiltà; ma che, forse perché richiese uno sforzo parziale e non grandissimo, non fu narrata dai poeti, e rimase obliata.

E fu opera, senza dubbio, degli Achei. Nei tempi descritti da Omero, l’isola non è piú degli Egèi. Tutti ricordano i famosi versi dell’Odissea:

Levasi in mezzo al mare purpureo la terra di Creta,
bella, ferace, tutta recinta dai flutti. Novanta
quivi son le città, numerar niun saprebbe le genti.
Parlan ciascuna una lingua diversa, commista. Qui Achivi,
quivi i Cretesi puri, magnanimi, quivi i Cidòni,
e i Dori, in tre tribú divisi, e i divini Pelasgi.

Ma i dominatori sono gli Achei. Essi partecipano coi loro fratelli del continente alla guerra di Troia; e nell’Iliade, Ido-