Pagina:Iliade (Romagnoli) I.djvu/236

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230-259 CANTO VIII 181

230e vino dai cratèri ricolmi attingendo e bevendo,
millantavate che ognuno potrebbe affrontare in battaglia
cento, duecento Troiani? Se or non bastiamo per uno,
per Ettore, che presto col fuoco rapace le navi
avrà distrutto! O Giove, qual mai dei possenti sovrani
235spingesti a tal rovina, struggendo l’insigne sua gloria?
Eppure, mai dei tuoi bellissimi altari nessuno
ho trascurato, quando per mar, col mio danno, qui venni;
ma sopra tutti cosce bruciai di giovenchi, ed omento,
d’abbattere bramoso le solide mura di Troia!
240O Giove, almeno adesso compiscimi questa preghiera:
fa’ tu che scampo adesso trovare possiamo, e fuggire;
e non lasciar che gli Achei sian cosí dai Troiani abbattuti!».
     Cosí disse. E pietà n’ebbe il padre, vedendo il suo pianto,
e consentí, con un cenno, che salvo il suo popolo fosse;
245e un’aquila mandò, perfetto fra tutti gli alati,
che fra gli artigli il rampollo stringea d’una rapida cerva;
e lo gittò presso all’ara di Giove bellissima, dove
porgean gli Achivi a Giove, signor dei responsi, le offerte.
E questi, allor, veduto l’augurio propizio di Giove,
250con nuovo ardor guerresco piombarono ancor sui Troiani.
     Quivi, nessuno dei Dànai, per molti che fossero, vanto
aver pote’ che prima spingesse i veloci cavalli
di Dïomede, a varcare la fossa, e affrontare i Troiani.
Primo fra i primi, quegli trafisse il troiano Agelao
255figlio di Fràdmone, mentre volgeva, a fuggire, i cavalli.
L’asta nel dorso, mentre le briglie volgea, gli confisse
fra l’una spalla e l’altra: la punta gli uscí fuor dal petto.
Piombò dal carro giú, su lui rintronarono l’armi.
E, dopo quello, i due sovrani figliuoli d’Atrèo