Pagina:Iliade (Romagnoli) I.djvu/308

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289-317 CANTO XI 253

Giove Croníde a me: su via, dunque, spingete i cavalli
290contro i gagliardi Dànai: ché vanto ben grande ne avrete».
     Con tali detti eccitò la furia d’ognuno e la forza.
E come un cacciatore, talor su cignale selvaggio
o su leone aizza i cani dai candidi denti,
cosí contro gli Achei spingea gli animosi Troiani
295Ettore figlio di Priamo, che Marte omicida sembrava.
Ed egli stesso, gesta pensando mirabili, irruppe
nella battaglia fra i primi, che parve furente procella,
quando sconvolge, piombando dall’ètere, il livido mare.
     E qui, dunque, chi primo, chi ultimo tolse di vita
300Ettore figlio di Priamo, cui Giove concesse la gloria?
Asèo prima d’ogni altro, poi caddero Opíte e Autonòo,
e Dòlope, di Cliti figliuolo, ed Ofeltio e Agelao,
ed Oro, ed Ipponòo bramoso di pugne, ed Esimno.
Furono questi i duci dei Dànai che uccise; e una turba
305poi, come quando Zefiro spazza le nubi cui Noto
candido accumulò, con l’urto di fiera procella,
e gonfio l’alto flutto si rotola, e sopra la schiuma
si sparge, per la furia, che qua, che là fischia, del vento.
D’Ettore sotto i colpi, cosí cadean fitte le teste.
     310E qui sterminio grande sarebbe seguito, qui mali
irreparabili, e ai legni sarebber fuggiti gli Achivi,
se non volgeva Ulisse cosí la parola al Tidíde:
«O Dïomede, che avviene? Scordati ci siam del valore?
Vien qui, piàntati a me vicino, o mio caro! Se mai
315Ettore prender dovesse le navi, che scorno sarebbe!».
     E Dïomede gagliardo rispose con queste parole:
«Ebbene, io sosterò, farò resistenza; ma poco